La globalizzazione della rabbia e della sfiducia

La rabbia e la sfiducia contro i Governi unisce il mondo intero. Sempre di più i popoli hanno la percezione che la politica continui ad agire sempre e comunque per gli interessi delle classi ricche. L’indignazione popolare davanti all’ingiustizia è esplosa ovunque, con un’intensità tale da creare dei veri e propri sollevamenti che non sembrano placarsi più. Negli ultimi mesi la contestazione ha attraversato molti Paesi dai quelli più ricchi a quelli più poveri, dalle democrazie più salde ai regimi repressivi. Motivo delle contestazione è che la gente percepisce sempre di più che la politica persegue obiettivi che favoriscono le classi più abbienti e si dimenticano del popolo. Le popolazioni sempre più spesso sono costrette a subire disagi causati dall’incapacità dei propri governi a fornire i servizi più basilari. Nei giorni scorsi in Egitto c’è stata un’imponente manifestazione, forse la più importante dai tempi della primavera araba, contro il governo del presidente Abdel Fattah al Sisi e dei militari, accusati di corruzione e di aver varato riforme economiche che hanno ridotto i sussidi e da un lato innalzato le tasse per i più poveri. In Libano addirittura le manifestazioni di piazza hanno costretto il Primo Ministro alle dimissioni. Certo, nei Paesi più ricchi le proteste si rivelano meno efficaci, perché le classi più ricche si possono permettere di aspettare le successive elezioni per affidare il proprio disagio alle urne. Ma sovente accade che nemmeno le cabine elettorali sono in grado di venire incontro alle aspettative disattese dalla politica. Un esempio emblematico ne è la Spagna che nonostante il costante ricorso alle urne in due anni non riesce a trovare un governo stabile e longevo per il Paese. Nel frattempo dall’altro lato del globo, ad Hong Kong, le proteste proseguono ormai da sei mesi, seminando disappunto nei centri di potere di una delle principali economie finanziarie del mondo. E tra tutte le proteste quella di Hong Kong sembra rappresentare la minaccia minore al proprio governo, non a caso Pechino si permette il lusso di attendere con tranquillità la fine delle proteste. Sorge spontanea la domanda se ancora la democrazia possa costituire per il futuro la migliore forma di governo.Negli ultimi decenni si è affermata grazie al progressivo contributo dei cittadini alla produttività economica, che ha agevolato e allargato la loro partecipazione ai processi politici. Ma la globalizzazione che fino a ieri sembrava costituisse la panacea per tutti i popoli, oggi è in ritirata e la tecnologia ha iniziato a sostituirsi alla manodopera e continuerà sempre di più negli anni a venire. Sembra quasi che gli anni migliori per la democrazia siano ormai alle spalle. Ma i successi segnati negli anni da questa forma di governo dei popoli, non può vederla finire. Ma quando si sommano tutti questi problemi strutturali a un’economia globalizzata in fase di rallentamento, diventa sempre più difficile per i governi venire incontro alle legittime richieste dei loro cittadini per i prossimi anni. Oggi l’unico collante che unisce il mondo intero è la rabbia dei popoli contro i governi. E’ d’obbligo una riflessione sia da parte dei governi che da parte dei popoli che li contestano.

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