Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da James Hansen il seguente articolo:
Gli Imperi sono affascinati dai muri, a partire dalla Grande Muraglia
cinese e il Vallo di Adriano—il primo inteso a tenere i mongoli fuori dalla Cina e il secondo a impedire
ai riottosi scozzesi l’accesso alla Britannia romana—per arrivare al progetto di successivi presidenti
americani di creare un “bellissimo muro” lungo il confine con il Messico.
La più curiosa—seppure la meno ricordata—di queste barriere fu la Grande Siepe
d’India, costruita attraverso buona parte del Paese durante l’epoca coloniale inglese. La
Siepe correva per 1.100 miglia (circa 1.800 km) partendo dall’odierno Pakistan per
giungere nell’India centrale, proteggendo una “linea doganale” ancora più lunga—4mila
km, ben oltre la distanza che separa Londra dal Cairo—composta in parte anche da fiumi
e altri ostacoli naturali.
Non era una siepe comune: secondo le specifiche doveva essere larga 4,3 metri e alta 3,7 metri.
Consisteva in una densissima striscia di piante spinose—acacie, pruni indiani, giuggioli, cactus—e
doveva essere penetrabile solo attraverso varchi doganali situati all’incirca ogni miglio. La Grande Siepe
era pattugliata da una forza di 12mila uomini ed era a modo suo una realizzazione “verde” in quanto
perlopiù “auto-rinnovante”. Parte del costo del suo mantenimento veniva recuperata dalla vendita della
legna prodotta dalla potatura periodica.
Non era una barriera contro invasori o immigranti illegali. Serviva piuttosto a mantenere il monopolio
della Compagnia britannica delle Indie orientali sulla produzione e la commercializzazione del sale. Del sale
nella dieta si parla male al giorno d’oggi, dimenticando che è essenziale per la salute, una necessità
basilare. Costituisce circa lo 0,4% del peso corporeo umano—più o meno equivalente alla sua presenza
nell’acqua di mare—e se manca, si muore.
Tutti gli stati—o “para-stati”, come la Compagnia delle Indie—amano tassare pesantemente il
commercio di sostanze assolutamente essenziali e facilmente misurabili: la benzina nel caso dello Stato
italiano. Nel caso indiano inoltre, il “delta” tra i costi di produzione del sale e il suo prezzo nelle zone
dell’interno dov’era poco presente lasciava ampi margini—da tassare senza pietà.
La Siepe, che separava le zone di produzione da quelle del consumo, fu mantenuta per la maggior parte
del 19° secolo e poi finalmente abbandonata nel 1879. Quando l’India ottenne l’indipendenza nel 1947,
ciò che ne restava fu gioiosamente distrutto dalla popolazione e dal nuovo Governo. Larghe sezioni del
tracciato furono trasformate in strade e oggi praticamente nulla resta del monumentale ostacolo che una
volta divise il subcontinente.
Con la scomparsa della Siepe il prezzo del sale crollò. Una tassa sulla sostanza—per quanto minore di
prima—restò però in vigore, oggetto di scherno e un serio problema sociale che sfociò nella famosa
“Marcia del sale” del Mahatma Gandhi degli anni Trenta, che portò nelle sue varie fasi all’arresto di oltre
80mila partecipanti. L’odiata tassa fu abolita solo nel 1947, con l’abbandono dell’India da parte dei
britannici. Non c’è nulla al mondo di più difficile da abbattere di una tassa una volta che è stata imposta.