L’Unione europea inasprisce ancora di più le misure contro la Russia, e lo fa appena prima che il conflitto ucraino giunga a neanche 20 chilometri dai suoi confini. Nella notte tra sabato e domenica la Russia ha colpito con ben 8 missili l’International Center for Peacekeeping and Security (Ipsc) a Yavoriv, vicino al confine con la Polonia, base distante appena 30 chilometri da Leopoli, creata nel 2007 per addestrare le forze armate ucraine, soprattutto per le missioni di peacekeeping. Per la prima volta, questa guerra è arrivata alle porte dell’Unione.
L’invasione russa dell’Ucraina continua senza sosta. I civili vengono attaccati ripetutamente: colpite scuole, palazzi, ospedali, anche pediatrici come tutti abbiamo visto. Nonostante i ripetuti appelli del presidente ucraino Zelensky a fermarsi, Putin non ha mostrato alcuna volontà di impegnarsi davvero nei negoziati per una soluzione diplomatica. Come ha sottolineato la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, “i corridoi umanitari o non sono ancora aperti o vengono bombardati dalle forze russe poco dopo che sono stati annunciati”.
I corridoi umanitari, purtroppo, sono tornati attuali e necessari per limitare i danni della guerra in Ucraina. A chiamarli in causa per la prima volta è stato il ministero della Difesa russo, quando ha annunciato uno stop temporaneo del conflitto per permettere l’evacuazione dei civili di Mariupol e Volnovakha, che si trovavano sotto attacco militare.
Non sono strumenti nuovi e hanno sempre avuto il fine di salvare più persone possibili durante le emergenze umanitarie. Nello specifico, sono programmi di accoglienza dei profughi, vittime di guerra o di calamità naturali. Nascono per rendere meno complessi degli spostamenti che avvengono in condizioni di precarietà e incertezza, e che normalmente richiederebbero un visto d’ingresso.
Hanno un duplice obiettivo: permettere alle persone fragili e indifese di non rischiare la vita e fermare – seppur momentaneamente – i conflitti armati. Si crea una sorta di zona demilitarizzata e si semplifica la burocrazia che regola gli spostamenti fra i vari Paesi. Fondamentale è il ruolo di esperti e volontari dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.
I corridoi umanitari funzionano attraverso una rete di collaboratori delle Ong, le Organizzazioni non governative, che direttamente sul luogo di interesse crea un elenco di potenziali aventi diritto. A seconda dell’emergenza, vengono inclusi bambini, donne, anziani e disabili. Ma la lista si allunga, quando l’obiettivo è salvare quanti più civili possibili.
Nel nostro caso, le segnalazioni arrivano al Ministero dell’Interno in Italia che, dopo aver fatto i controlli necessari, le smista ai consolati delle nazioni coinvolte. Saranno loro a rilasciare dei visti speciali con una validità territoriale specifica. Una volta giunti sul territorio italiano, i profughi ricevono la cosiddetta accoglienza diffusa.
Sono previsti dei corsi di lingua, le lezioni a scuola per i bambini e altre iniziative per l’integrazione e l’inclusione. I beneficiari dei corridoi umanitari possono anche richiedere asilo e avere un supporto legale durante tutto l’iter.
La guerra in Ucraina è solo l’ultimo episodio che, purtroppo, necessita dell’applicazione di queste forme di protezione internazionali. Il protocollo, infatti, nasce nel dicembre del 2015, attraverso un accordo fra la comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il Governo. È il progetto pilota dei corridoi umanitari che ha accolto mille persone – fra Etiopia, libano e Marocco – soltanto nei primi due anni. I finanziamenti arrivano soprattutto dall’Otto per mille delle chiese valdesi e metodiste, da donazioni e raccolte fondi.
Questa forma di solidarietà non è utile solo durante un conflitto, aiuta infatti a contrastare anche il traffico di esseri umani e a ridurre i cosiddetti viaggi della speranza dei migranti disposti a tutto per fuggire dagli orrori dei loro Paesi. Negli ultimi anni, questo modello è stato adottato anche da Belgio e Francia
L’Europa ha poi deciso di aumentare la pressione economica contro il Cremlino. Sono già 3 i pacchetti di sanzioni attivati contro Mosca, ma non basta. Le restrizioni hanno colpito duramente l’economia russa, il rublo è precipitato, molte importanti banche russe sono tagliate fuori dal sistema bancario internazionale, le aziende stanno lasciando il Paese, una dopo l’altra, perché non vogliono che i loro brand siano associati al regime di Putin. Ma è ancora troppo poco.
Per questo Bruxelles ha ottenuto dai 27 Paesi membri di approvare un quarto pacchetto di sanzioni contro la Russia, dopo aver dato il via all’erogazione della prima tranche di aiuti finanziari. Vediamo cosa prevede nel dettaglio.
Prima di tutto viene ora negato alla Russia lo status di nazione più favorita nei mercati Ue. Cosa che annullerà importanti vantaggi di cui gode la Russia in quanto membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Le aziende russe non riceveranno più un trattamento privilegiato nelle economie europee.
L’Ue è anche già al lavoro per sospendere i diritti di appartenenza della Russia alle principali istituzioni finanziarie multilaterali, tra cui il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Questo per fare in modo che la Russia non possa ottenere più finanziamenti, prestiti o altri vantaggi da queste istituzioni. “Perché la Russia non può violare gravemente il diritto internazionale e, allo stesso tempo, aspettarsi di beneficiare dei privilegi di far parte dell’ordine economico internazionale” tuona von der Leyen.
In secondo luogo, L’Ue continuerà a fare pressione sulle élite russe vicine a Putin, alle loro famiglie e ai facilitatori. Questo è il motivo per cui i ministri delle Finanze, della Giustizia e degli Affari interni del G7 si incontreranno la prossima settimana per coordinare la task force istituito contro gli “amici” di Putin.
Terzo, vengono bloccati tutti i tentativi, nei confronti dello stato russo e delle sue élite, di utilizzare criptovalute per aggirare le sanzioni. “Fermeremo il gruppo vicino a Putin e agli artefici della sua guerra dall’utilizzare questi beni per crescere e trasferire la propria ricchezza”.
In quarto luogo, viene vietata l’esportazione di qualsiasi bene di lusso dell’UE dai Paesi dell’Unione alla Russia, come colpo diretto all’élite russa. “Coloro che sostengono la macchina da guerra di Putin non dovrebbero più essere in grado di godersi il loro stile di vita sontuoso mentre le bombe cadono su persone innocenti in Ucraina” attacca la presidente della Commissione europea.
Quinto, viene vietata l’importazione di beni chiave nel settore siderurgico dalla Russia. Questa mossa ha l’obiettivo, certo, di colpire un settore centrale del sistema russo: lo priverà di miliardi di proventi delle esportazioni e garantirà che i cittadini europei non sovvenzionino, indirettamente, la guerra di Putin.
Infine, scatta il divieto di nuovi investimenti europei nel settore energetico russo. L’Europa vuole porre fine alla dipendenza energetica da Mosca. Questo divieto riguarderà tutti gli investimenti, i trasferimenti di tecnologia, i servizi finanziari, ecc., per l’esplorazione e la produzione di energia, e quindi “avrà un grande impatto su Putin”.
Sul fronte degli aiuti, Bruxelles ha erogato 300 milioni di euro in assistenza macrofinanziaria di emergenza per sostenere le finanze dell’Ucraina. Si tratta della prima tranche del pacchetto di aiuti finanziari da 1,2 miliardi di euro, altri seguiranno a breve.
Intanto si fanno strada alcuni, flebili, spiragli di tregua. Secondo quanto annunciato via Telegram dal consigliere del presidente Zelensky e negoziatore per Kiev, Mykhailo Podoliak, “ci sono varie proposte sul tavolo dei negoziati ora. Comprese quelle sull’accordo politico e, soprattutto, sull’accordo militare”. Podoliak parla di un possibile cessate il fuoco e del ritiro delle truppe. “Tutto ciò viene elaborato dai gruppi di lavoro”.
“Le delegazioni non commenteranno il contenuto dei negoziati in anticipo. I meccanismi compensativi devono essere chiaramente definiti: a spese di quale budget si ricostruirà tutto”. Altro elemento positivo evidenziato dal consigliere del presidente il fatto che i russi “durante i colloqui non ci fanno più ultimatum, ma ascoltano le nostre proposte. L’Ucraina – ribadisce – non rinuncerà a nessuna delle sue posizioni. Le nostre richieste sono la fine della guerra e il ritiro delle truppe russe. Vedo che c’è una comprensione di questo processo e c’è un dialogo”.
Intanto il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha ribadito che il presidente russo, Vladimir Putin, in un colloquio con il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, si è mostrato aperto a un possibile colloquio con il leader ucraino, Volodymyr Zelensky.
“Abbiamo ripetutamente affermato che nessuno esclude la possibilità di un incontro tra Vladimir Putin e il presidente Zelensky. Ma dobbiamo capire quale dovrebbe essere il risultato di questo incontro e cosa verrà discusso” ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, commentando in un punto stampa le dichiarazioni del ministro degli Esteri turco. Putin, intanto, è sempre più isolato e cresce l’allerta per un possibile golpe in seno al Cremlino.