Un unico election day in primavera, con una nuova legge elettorale che non preveda nessun “famigerato listino e nessun voto della ‘ndrangheta”. Ovviamente i consiglieri rinviati a giudizio restano a casa. E’ la decisione presa dalla Lega dopo un ampio dibattito nel Consiglio federale che ha rotto l’accordo raggiunto due giorni fa a Roma tra Maroni, Alfano e Formigoni e rimesso il pallino del destino della Giunta lombarda in mano al Pdl. Per tutto il pomeriggio, Formigoni ha protestato contro il cambio di rotta: “Soltanto 48 ore fa il Pdl ha firmato con la Lega l’accordo che abbiamo illustrato insieme in conferenza stampa. Se la Lega avesse cambiato idea, immagino – ha sottolineato – che Maroni ce lo spiegherà, ce lo farà sapere, ce ne dirà le ragioni e ragioneremo insieme oppure il Pdl assumerà le sue scelte”. Poi lo scontro sul punto debole per la Lega: andare subito al voto. Prima Ignazio La Russa: “Se c’è una condizione così incerta, meglio andare a votare subito”; poi, meno esplicitamente, lo stesso Formigoni: se la Lega insiste con un appoggio a tempo, “sarebbe mio dovere istituzionale fare in modo che il periodo di incertezza duri il meno possibile”. Eventualità che, nelle intenzioni del pdl, dovrebbe suonare in via Bellerio come una campanello d’allarme, essendo diffusa la convinzione che per la Lega, andare al voto in questo nell’immediato, isolata e in fase di transizione, la Lega “non andrebbe da nessuna parte”. Ma la minaccia rischia di non sortire l’effetto sperato: ai dirigenti leghisti sembra non far paura, anzi l’hanno di fatto già messa in conto con la decisione di oggi, fortemente voluta peraltro dalla base, oltre che condivisa dalla maggioranza dei dirigenti: “Ma perché, loro vincono? Can che abbaia non morde”, chiede retoricamente un leghista ben informato, definendo il tentativo “un bluff”. Ecco perché è destinato a rimanere almeno per ora senza risposta, o per lo meno senza la risposta desiderata, il messaggio sms che Formigoni ha raccontato di aver inviato al leader della Lega Roberto Maroni e con il quale il presidente della Regione Lombardia ha chiesto di essere richiamato. Formigoni ha detto anche di avere dalla sua i leader del Pdl: “Con Alfano e Berlusconi la linea è unitaria e sono tutti stupiti da questo cambiamento di cui non conosciamo le ragioni”. E di essere certo che “se Maroni ha cambiato idea si farà vivo e mi chiamerà”. Che la prospettiva di voto subito sia stata raccolta come una minaccia spuntata viene dato per certo da chi fa notare che nessuno dei big leghisti ha replicato alla questione. Al consiglio federale di oggi, la Lega “ha fatto quello che doveva fare”. Poi, si vedrà. Il Carroccio chiede al Pdl quello che la stessa Lega ha iniziato a fare col nuovo corso: “Noi abbiamo affrontato il tema del ricambio, ora tocca a loro – ha spiegato il responsabile della Comunicazione della Lega nord Davide Caparini – Poi in futuro si può fare qualsiasi ragionamento assieme. Ma i partiti devo tornare credibili. Affrontare il problema con le vecchie logiche non farà che allontanare le persone”. Intanto in casa leghista, con la decisione netta presa dal consiglio Federale, appaiono rientrati i malumori seguiti all’atteggiamento giudicato da diversi esponenti un po’ “accomodante” del leader Maroni due giorni fa, quando è apparso tra Alfano e Formigoni, sotto il simbolo del Pdl, in via dell’Umiltà a Roma. Oggi, in via Bellerio c’è chi ha rilevato che quella conferenza stampa è stata un errore, pur nella consapevolezza del gruppo dirigente che “la preoccupazione del segretario federale è in questa fase quella di non far saltare il banco senza avere una visione di prospettiva”. Ma al termine del confronto, tutti soddisfatti, Maroni compreso.