The eyes of a 35-year-old cloaked woman from Saudi Arabia pictured during a press conference in Berlin, Germany, 24 April 2009. ANSA/ALINA NOVOPASHINA

La maschera

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articolo ricevuto da James Hansen
Da anni si va avanti e indietro sulla questione del velo islamico, o meglio, sull’uso del burqa o del niqab , le due versioni “integrali” che mascherano completamente l’identità di chi li porta.
Molti paesi europei ne vietano l’utilizzo in pubblico. Il caso più recente è quello dell’Olanda, dove l’anno scorso è entrato in vigore il divieto all’uso pubblico del burqa integrale. La decisione però ha incontrato la resistenza di centri come Amsterdam, dove il Sindaco ha definito la legge contraria “allo spirito della capitale” e la polizia ha fatto sapere che non avrebbe considerato “una priorità” obbligarne l’osservanza.
Se in Olanda l’azione è finita per essere essenzialmente un gesto più politico che sostanziale, simili divieti in altri paesi europei—Francia, Belgio, Danimarca, Austria, Latvia e Bulgaria—hanno avuto un impatto maggiore.
L’Italia invece è senza una legge nazionale che vieta il velo integrale in pubblico. Tentativi di allargare il senso di un vecchio divieto al mascheramento del viso con casco o passamontagna risalente agli “anni di piombo”—l’art.5 della legge n. 152 del 1975—sono naufragati in quanto la legge si applica solo all’uso “senza giustificato motivo” e l’osservazione delle usanze islamiche è sembrata una giustificazione sufficiente al Consiglio di Stato.
Esistono anche divieti a livello regionale. La Lombardia vieta l’uso del burqa o del niqab in molte circostanze e in Svizzera, nel 2013, il Canton Ticino vietò la “dissimulazione del viso” in pubblico. In Germania, la Bavaria nel 2017 ne ha proibito l’uso nelle scuole, nei seggi elettorali, nelle università e negli uffici governativi.
Fin dal 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che il divieto in forza in Francia—tra i primi, risale al 2010—non lede la libertà di religione e nel 2017 la Corte di giustizia dell’Ue ha approvato l’uso di divieti agli indumenti islamici nelle aziende: a condizione che le norme interne escludano qualsiasi simbolo religioso, filosofico o politico e non solo quelli di una particolare confessione.
Per dire, si può fare un po’ quello che si vuole: ma non se tocca la fede personale. Pertanto, è caratteristico di questo tipo di legislazione fare delle acrobazie linguistiche per non rendere palese il tentativo di regolare il comportamento di gente di una fede diversa.
Un esempio è quello della legislazione austriaca, che evita in ogni modo possibile di usare la parola “velo” ed è pertanto denominata l’ Anti-Gesichtsverhüllungsgesetz —facciamo “il divieto di mascherarsi la faccia”. Non appena la legge è entrata in vigore, la polizia è andata ad arrestare un ragazzo “mascotte” mascherato da squalo mentre pubblicizzava l’apertura di McShark’s, un negozio di elettronica a Vienna.
Un’interessante difficoltà emerge in questi giorni. Per il pudore legalistico dei testi, potrebbe essere— nominalmente almeno—illegale portare una mascherina anti-coronavirus per strada, cioè, fuori dalla sede in cui è ammessa per motivi professionali. Non succederà nulla ovviamente. C’è poco da scherzare e gli agenti di polizia non hanno in questo caso motivo di agire pubblicamente per sottolineare la cretina ambiguità di una legge che sono chiamati a far osservare…

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