La meglio Italia

Brunetta parla della “peggiore Italia” riferendosi ai precari. Mi chiedo, a questo punto, quale sia la migliore. Di certo non quella che intende rappresentare il Popolo della libertà. Un’Italia frutto di una secessione, divisa da barriere ideologiche e culturali. Un’Italia messa in ginocchio dalla crisi economica, che non riesce a reinventarsi. Un’Italia in cui le leve del potere sono maneggiate non sempre da chi di dovere e non sempre attraverso strumenti leciti. E’l’Italia degli intrighi, dei brogli e del malaffare. Veneziani scrive di una “bella destra” che dovrebbe sostituire l’arto mancante al governo in carica e, subito, c’è qualcuno che si sente chiamato in causa per rappresentarla. L’anima mediterranea, l’identità cattolica, una politica fortemente orientata al sud del Paese per bilanciare il potere ricattatorio e manicheo della Lega sono le caratteristiche richieste. Il fine è tanto nobile quanto ambizioso. La stessa classe politica, consociativista e denazionalizzata, priva di ogni motivazione ideologica e sradicata da ogni senso di appartenenza, dovrebbe cercare al suo interno i geni di un patrimonio culturale per riformare se stessa. E poi c’è la questione del leader. Una questione alquanto spinosa. La scelta del delfino non può essere rimessa alla volontà del Cavaliere. Deve essere frutto di primarie. Se la politica continuerà ad essere un esercizio monotono e ripetitivo tra “addetti ai lavori”, è chiaro che nuovi scenari appaiono improbabili. Se il politico non modificherà la propria visione del mondo riconoscendo il dono che gli è stato fatto quando gli è stato affidato il ruolo di rappresentanza di istanze altrui, resterà vittima del suo stato di ebbrezza e del suo delirio di onnipotenza. Se il progetto di riforma di un Paese non sarà accompagnato da un’attenta e consapevole partecipazione popolare, sarà abortita qualsiasi opportunità per le nuove generazioni. No, il presupposto non può essere cercato tra schemi ormai logori né tra vecchi criteri di radicamento nepotistico e clientelare. Bisogna azzerare tutto. Bisogna radere al suolo e ricominciare da zero. Perché l’edificio è marcio dalle fondamenta. Le comunità devono riappropriarsi del ruolo politico di laboratori dove si sperimentano nuove formule per il futuro. Devono cominciare ad evocare sentimenti profondi e volontà di aggregazione. Alla preoccupazione del presente bisogna sostituire il mito di un’azione per il mondo di domani. Bisogna svegliarsi da un letargo decennale. Bisogna promuovere un’ azione di “contagio”, far sì che le idee di riforma radicale attecchiscano nelle coscienze di coloro che sono rimasti impantanati nelle paludi delle delusioni, delle ansie irrisolte, delle stanchezze generate dalla perdita di carica emotiva. E’ possibile farlo con l’esempio. E’ possibile produrre atti di solidarietà che nella nostra società sono venuti a mancare. E’ possibile scongiurare, al tempo stesso, una  pericolosa deriva omologatrice  e improbabili ritorni al passato. Niente cambierà se non sarà restituito lo scettro al principe: il popolo. Cominciamo dalla legge elettorale, affinché gli eletti siano designati per meriti acquisiti sul campo e non per privilegi concessi dall’alto. Col tempo potremmo essere di nuovo in grado di proporre i valori con i quali si potrebbe definire una bella destra. E, con essa, una bella Italia o, quanto meno, un’Italia migliore.

Maria Teresa Nunziata

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