La pizza è un prodotto gastronomico salato tipico della cucina napoletana, il più conosciuto della gastronomia italiana, sia in Italia che all’estero. Con questo nome, praticamente ignoto al di là della cinta urbana napoletana, ancora nel XIX secolo, si indicavano le torte, quasi sempre dolci. Fu solo a partire dagli inizi del XIX secolo che la pizza assunse, sempre a Napoli, la sua attuale connotazione. Il successivo successo planetario della pietanza ha portato, per estensione, a definire nello stesso modo qualsiasi preparazione analoga. La pizza ha una storia lunga, complessa e incerta. In assoluto, le prime attestazioni scritte della parola ‘pizza’ risalgono al latino volgare della città di Gaeta nel 997. Un successivo documento, scritto su pergamena d’agnello, di locazione di alcuni terreni e datato sul retro 31 gennaio 1201 presente presso la biblioteca della diocesi di Sulmona-Valva, riporta la parola ‘pizzas’ ripetuta due volte. Ma la pizza, nonostante questo, è un piatto originario della cucina napoletana. Nel sentire comune, spesso, ci si riferisce con questo termine alla pizza tonda condita con pomodoro e mozzarella, ossia la variante più conosciuta della cosiddetta pizza napoletana, la pizza ‘Margherita’. Lanciata dall’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, con l’Associazione pizzaiuoli napoletani, l’idea del suo rilancio conquista anche il sostegno della ‘Confederazione nazionale dell’artigianato’, che promette di dare un ulteriore slancio all’iniziativa, dopo il sostegno già garantito da Coldiretti, Confesercenti e volti noti della politica, dello spettacolo e della cultura. Non è solo di una rivendicazione di orgoglio nazionale per un prodotto che nella sua lunga storia ha sfamato reali e scugnizzi, presidenti americani e aborigeni australiani e messo d’accordo, davanti a un piatto fumante, bambini e adulti di tutto il mondo. La pizza è anche un pilastro del made in Italy, con un indotto economico di tutto rispetto. A seguito di quanto detto, all’Unesco è stato chiesto, con una petizione accompagnata da 700mila sottoscrizioni, di riconoscere alla pizza lo status di ‘patrimonio immateriale dell’umanità’. E’ prevedibile che a marzo si raggiunga il numero di un milione di firme. Secondo i dati forniti dalla stessa Cna, i maestri pizzaioli sfornano ogni giorno 8 milioni di pezzi, vale a dire quasi 192 milioni di pizze al mese e 2,3 miliardi di pizze l’anno per un giro d’affari di 12 miliardi di euro. A questa produzione corrisponde il fatto che gli italiani mangiano mediamente 7,6 chili di pizza all’anno, più o meno a 38 pizze napoletane a testa. Quasi il doppio di quanta se ne mangi in Francia e in Germania (intorno ai 4,2 chili all’anno), ma di fatto al pari del consumo canadese (7,5 chili) e addirittura la metà del consumo degli Usa (13 chili), dove una ricerca di alcuni anni fa evidenziò che i bambini statunitensi consideravano la parola ‘pizza’ come la più americana di tutte. La minaccia più grande per la pizza è che viene esposta a fenomeni di imitazione, agro-pirateria e svalutazione per l’uso di prodotti impropri, dalla mozzarella di latte congelato ai pomodori cinesi, fino alle farine di bassa qualità. Anche a questo serve la richiesta di riconoscimento Unesco, ovvero per mettere la pizza al riparo dalla contraffazione, a tutela del consumatore e dell’economia nazionale per la quale la pizza vale 200mila posti di lavoro. La pizza napoletana è l’unico tipo di pizza italiano riconosciuto in ambito nazionale ed europeo. Dal 4 febbraio 2010, infatti, è ufficialmente riconosciuta come Specialità tradizionale garantita della Comunità Europea. Tra i beni orali ed immateriali tutelati dall’Unesco ci sono il teatro dei pupi siciliani e il canto dei pastori sardi, ma ancora la pizza non ce l’ha fatta ad accedere all’Olimpo visto che la sua candidatura è stata proposta già nel 2011 e nel 2012. Riconoscere la pizza come patrimoni Unesco è senza dubbio un’occasione per salvaguardare il made in ItalCocis