‘La Regina di ghiaccio’ con Lorella Cuccarini al Teatro Brancaccio di Roma dal 2 al 16 marzo

Alessandro Longobardi, direttore artistico del Teatro Brancaccio, produce per ‘Viola Produzioni’  il musical ‘La regina di ghiaccio’, in scena al Teatro Brancaccio di Roma dal 2 al 16 marzo prossimi, riconfermando la squadra vincente di ‘Rapunzel’: Maurizio Colombi, Lorella Cuccarini, oltre al prezioso cast creativo: Davide Magnabosco, Alex Procacci e Paolo Barillari per le musiche, Giulio Nannini per i testi, Alessandro Chiti per le scenografie, Francesca Grossi per i costumi, Alessio De Simone per il disegno luci,  Emanuele Carlucci per il disegno suono, Rita Pivano per le coreografie. ‘La regina di ghiaccio’  è ispirato alla fiaba persiana da cui nacque la ‘Turandot’ di Giacomo Puccini. Lorella Cuccarini interpreta il ruolo di una crudele e malefica regina vittima di un incantesimo, nel cui regno gli uomini sono costretti ad indossare una maschera per non incrociare il suo sguardo. Solo colui che sarà in grado di risolvere tre enigmi potrà averla in sposa. Riuscirà il Principe Calaf, interpretato da Pietro Pignatelli, a sciogliere il cuore di ghiaccio della regina con il calore e il fuoco del suo amore?

con

Lorella  Cuccarini nel ruolo di Turandot

Pietro  Pignatelli  nel ruolo di Calaf

Simonetta Cartia nel ruolo di Chang’è

Sergio Mancinelli nel ruolo di Yao

Valentina Ferrari nel ruolo della strega Tormente

Federica Buda nel ruolo della strega Gelida

Silvia Scartozzoni nel ruolo della strega Nebbia

Giancarlo Teodori nel ruolo di Ping

Jonathan Guerrero  nel ruolo di Pong

Adonà Mamo nel ruolo di Pang

Paolo Barillari nel ruolo di Altoum

Flavio Tallini  nel ruolo del Principe di Persia

Laura Contardi nel ruolo di Zelima

Complesso musicale:

Luca Contini, Martina Gabbrielli, Filippo Grande, Camilla Maffezzoli, Antonella Martina, Eleonora Peluso, Ivan Trimarchi.

Turandot  è un’opera in 3 atti e 6 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano, uno dei suoi allievi.

La prima rappresentazione ebbe luogo nell’ambito della stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta, Maria Zamboni, Giacomo Rimini, Giuseppe Nessi ed Aristide Baracchi sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso ‘Dormi, oblia, Liù, poesia!’,  ovvero dopo l’ultima pagina completata dall’autore, rivolgendosi al pubblico con queste parole: ‘Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto’. La sera seguente, l’opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, includendo  il finale di Alfano.

L’incompiutezza dell’opera è oggetto di discussione tra gli studiosi. C’è chi sostiene che Turandot rimase incompiuta non a causa dell’inesorabile progredire del male che affliggeva l’autore, bensì per l’incapacità, o piuttosto l’intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d’amore conclusivo, che pure l’aveva inizialmente acceso d’entusiasmo e spinto verso questo soggetto. Il nodo cruciale del dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, è costituito dalla trasformazione della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata.

Alla fine della sua parabola creativa Puccini si cimentò con un soggetto fiabesco, d’impronta fantastica. Non era mai accaduto, se si eccettua la scena finale della sua prima opera, ‘Le Villi’.

Il vero ostacolo per il compositore fu, fin dall’inizio, la trasformazione del personaggio di Turandot, da principessa fredda e vendicativa a donna innamorata.

Turandot, figlia dell’Imperatore, sposerà quel pretendente di sangue reale che abbia svelato tre indovinelli molto difficili da lei stessa proposti; colui però che non sappia risolverli, dovrà essere decapitato. Il principe di Persia, l’ultimo dei tanti pretendenti sfortunati, ha fallito la prova e sarà giustiziato al sorger della luna. All’annuncio, tra la folla desiderosa di assistere all’esecuzione, sono presenti il vecchio Timur che, nella confusione, cade a terra e la sua schiava fedele Liù chiede aiuto. Un giovane si affretta ad aiutare il vegliardo: è Calaf, che riconosce nell’anziano uomo suo padre, re tartaro spodestato e rimasto accecato nel corso della battaglia che lo ha privato del trono. Si abbracciano commossi e il giovane Calaf prega il padre e la schiava Liù, molto devota, di non pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel frattempo il boia affila la lama preparandola per l’esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna, la folla si agita ulteriormente.

Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista del giovane principe, la folla, prima eccitata, si commuove per la giovane età della vittima, e ne invoca la grazia. Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l’ordine al boia di giustiziare il Principe.

Calaf, che prima l’aveva maledetta per la sua crudeltà, è ora impressionato dalla regale bellezza di Turandot, e decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù tentano di dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell’atrio del palazzo imperiale. Tre figure lo fermano: sono Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincere Calaf a lasciar perdere, descrivendo l’insensatezza dell’azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot. Turandot appare quindi sulla loggia imperiale del palazzo e accetta la sfida.

Ping, Pong e Pang si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.

Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. C’è una lunga scalinata in cima alla quale si trova il trono in oro e pietre preziose dell’imperatore. Da un lato ci sono i sapienti, i quali custodiscono le soluzioni degli enigmi, poi ci sono il popolo, il Principe ignoto ed i tre ministri. Ci sono anche Liù e Timur. L’imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest’ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova, ripetendo l’editto imperiale, mentre entra in scena Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti.

Calaf riesce a risolvere uno dopo l’altro gli enigmi e la principessa, disperata e incredula, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l’imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d’odio. Calaf la scioglie allora dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell’alba, riuscirà a scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un’ultima volta, solenne, l’inno imperiale.

È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l’ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire a Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a ogni costo, pena la morte. Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere e sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall’odio e dall’indifferenza.

Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa pur di conoscere il suo nome. Ma il principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Subisce molte torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l’amore a darle questa forza.

Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi il nome del principe ignoto. Liù, sapendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, strappa di sorpresa un pugnale ad una guardia e si trafigge a morte, cadendo esanime ai piedi di un sconvolto Calaf.

Il vecchio Timur, essendo cieco, non realizza immediatamente quanto accaduto, e quando la verità gli viene infine cinicamente rivelata dal ministro Ping il deposto sovrano abbraccia distrutto il corpo senza vita di Liù, che viene portato via seguito dalla folla in preghiera. Turandot e Calaf restano soli, e in un primo momento Calaf è adirato con la principessa, che accusa di aver provocato fin troppo dolore in nome del suo odio e di essere ormai incapace di provare sentimenti (Principessa di Morte), ma ben presto all’odio si sostituisce l’amore di cui Calaf è incapace di liberarsi. La principessa dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la prima volta che l’aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione, che li porta infine a scambiarsi un bacio appassionato. Tuttavia ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il nome, potrà perderlo, se vuole.

Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe. Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero: ‘Il suo nome è Amore’. Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.

In realtà il lavoro sulla Turandot da parte dello stesso autore non rimase effettivamente incompiuto. Il lavoro di stesura di un vero e proprio finale alternativo iniziò praticamente poche settimane prima della morte, quando l’autore stava per essere ricoverato, ma non rimasero che abbozzi più o meno compiuti. Gli abbozzi sono sparsi su 23 fogli che il Maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles in cui fu ricoverato nel tentativo di curare il male che lo affliggeva. Puccini non aveva indicato in modo esplicito nessun altro compositore per il completamento dell’opera. L’editore ‘Ricordi’ decise allora, su pressione di Arturo Toscanini e di Antonio, il figlio di Giacomo, di affidare la composizione al napoletano Franco Alfano, che due anni prima si era distinto nella composizione di un’opera, ‘La leggenda di Sakùntala’, caratterizzata da una suggestiva ambientazione orientale.

Il punto più controverso del materiale lasciato da Puccini è costituito dall’episodio del bacio. È il momento clou dell’intera opera: la trasformazione di Turandot da principessa di gelo a donna innamorata

L’Opera lirica Turandot, come dicevamo, incompiuta per la prematura scomparsa di Puccini, ebbe nelle varie edizioni dei finali distinti. Il moderno adattamento in musical di Maurizio Colombi dà una nuova chiave di lettura fantastica, più vicina alla sensibilità dei bambini, grazie all’inserimento di personaggi inediti: le tre streghe Tormenta, Gelida e Nebbia, fautrici dell’incantesimo, in contrasto con i consiglieri dell’imperatore Ping, Pong e Pang; un albero parlante, la Dea della Luna Changé, il Dio del Sole Yao. Un cast artistico formato da venti straordinari performer fra attori, cantanti, ballerini, acrobati.

Non mancheranno in sala gli effetti speciali che abbattono la quarta parete coinvolgendo tutti gli spettatori, grazie all’utilizzo di immagini video realizzate con le più moderne tecnologie.

La musica è composta da 18 emozionanti brani musicali arrangiata e diretta da Davide Magnabosco con riferimenti melodici ad alcune tra le più famose arie di Puccini.

Lorella Cuccarini è stata Sandy in ‘Grease’, Charity in ‘Sweet Charity’, Miranda ne ‘Il Pianeta Proibito’ e ‘Madre Gothel’ in Rapunzel. In ‘La Regina di Ghiaccio’ interpreta Turandot, una crudele e malefica regina che, vittima di un incantesimo che le ha gelato il cuore, taglia le teste dei pretendenti che non rispondono esattamente ai suoi indovinelli e nel cui regno gli uomini sono costretti ad indossare una maschera per non incrociare il suo sguardo. Il personaggio di ‘Turandot’ rispetto all’Opera originale, dove è la regina cattiva, dal cuore di ghiaccio, qui, invece, è un personaggio molto affascinante in cui si alternano due facce: la regina resa algida da un incantesimo, ma anche poi una donna romantica quando scopre l’amore per la prima volta con Calaf. La Cuccarini è un’artista magnificamente poliedrica con la capacità di essere presente sul palcoscenico a 360 gradi, sia   per quanto  riguarda l’aspetto coreografico, sia per  quanto riguarda la recita, ben espressa nella sua capacità di fare teatro.  Nei musical, pensando  alle produzioni di Londra e New York,  si pensa ad artisti a 360 gradi che cantano, ballano e recitano,  e Lorella Cuccarini rispetta in pieno queste aspettative.  Il teatro musicale in Italia non ha aiuti di nessun tipo, può sopravvivere  solo grazie a produttori coraggiosi  che investono su di esso. Il musical nel nostro Paese si trova  in una sorta di limbo dove la maggior parte dei titoli che arrivano  arrivano dall’esterno e non sono mai nostri. Aspettiamo il 2 marzo per goderci la bellezza e la magia de ‘La Regina di Ghiaccio’.

Roberto Cristiano

 

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