La salute, spada di Damocle presidenti e candidati Usa

 

 

Hillary Clinton non ha rivelato immediatamente la diagnosi di polmonite in quanto non pensava che sarebbe stato un grosso problema. Hillary  ha aggiunto di sentirsi meglio da quando ha avuto il malore alla cerimonia per l’anniversario dell’11 settembre, e di non avere mai perso conoscenza. La candidata democratica ha detto alla trasmissione ‘Anderson Cooper 360’ di non essere svenuta: Avevo un senso di vertigine e ho perso l’equilibrio per un minuto. Ma ho subito superato il momento. Appena ho potuto sedermi e bere un po’ d’acqua, immediatamente ho cominciato a stare meglio’’. Piu’ tardi l’ex segretario di Stato, via Facebook, ha rassicurato i suoi sostenitori di sentirsi bene e di stare migliorando, e ha aggiunto: ‘Come chiunque non sia mai stato a casa ammalata, sono ansiosa di tornare al lavoro’. La Clinton non e’ la prima candidata alla Casa Bianca a cui i medici hanno diagnosticato condizioni capaci di mettere in pericolo la corsa alla Casa Bianca. Nell’estate 2004, poco mesi prima dell’inizio delle primarie, l’allora senatore del Massachusetts e futuro segretario di Stato John Kerry fu operato di cancro alla prostata. Per convincere gli elettori a minimizzare cito’ il fatto che l’ex candidato repubblicano Bob Dole era stato curato con successo della stessa malattia nel 1991, cinque anni prima di perdere la gara presidenziale del 1996 contro Bill Clinton. Che a 39 anni Franklin Delano Roosevelt fosse rimasto paralizzato dalla poliomielite era un fatto conosciuto prima della vittoria di alla Casa Bianca nel 1933 anche se il presidente del New Deal, una volta eletto, cerco’ sempre di censurare immagini che lo ritraevano in sedia a rotelle. Un approccio agli antipodi di Ronald Reagan il cui cancro al colon nel 1985 fu sviscerato in tutti i suoi aspetti dalla stampa. Il più anziano finora ad entrare alla Casa Reagan mostro’ i primi sintomi del morbo di Alzheimer ancora nell’Oval Office anche se l’annuncio ufficiale avvenne molti anni dopo la fine del suo secondo mandato dopo la diagnosi della Mayo Clinic nel 1994. Sia Hillary che Trump sono stati finora piuttosto reticenti in fatto di salute. Lo stesso Barack Obama del resto, nel 2008, non aveva dato migliore esempio limitandosi a diffondere una lettera del medico che definiva il suo stato fisico eccellente nonostante che a quei tempi fosse un fumatore incallito. Quell’anno fu il New York Times a guidare la crociata per una maggior glasnost delle cartelle cliniche. Due dei quattro avversari,  il repubblicano John McCain e il vice democratico Joe Biden, sono sopravvissuti a problemi potenzialmente mortali che potrebbero ripresentarsi, aveva scritto Lawrence Altman, il medico ‘di casa’ del giornale citando nel caso di McCain le ricadute del melanoma e in quello di Biden l’aneurisma al cervello operato nel 1988: un caso cosi’ grave che un sacerdote gli diede l’estrema unzione. Se Hillary Clinton gettasse la spugna dopo il malore dell’11 settembre a Ground Zero, molti si interrogano su uno scenario che porterebbe a una corsa alla Casa Bianca.  Cambiare un candidato presidenziale a metà corsa tra nomination ed elezioni è clamoroso ma si può fare: non è però mai successo a livello di candidature presidenziali. Sia il partito democratico che quello repubblicano hanno regole per riempire il vuoto anche a ridosso della data del voto, quest’anno l’8 novembre. Il presidente del partito, nello specifico la presidente ad interim Donna Brazile, dovrebbe convocare il Comitato Nazionale per votare a maggioranza semplice. Le stesse procedure si applicano in caso di morte o ritiro di un presidente eletto dopo l’elezione generale ma prima della riunione del Collegio Elettorale: nel senso che il partito è l’arbitro assoluto per rimediare alla vacanza. Se non è mai successo al primo posto del ticket presidenziale, precedenti esistono per candidati alla vicepresidenza: nel 1912, il numero due repubblicano James Sherman morì sei giorni prima delle elezioni ma in quel caso la riunione del partito fu cancellata perché alla fine il democratico Woodrow Wilson vinse le elezioni. Sessant’anni dopo fu la volta del vice del candidato democratico George McGovern: Thomas Eagleton fu costretto ad abbandonare la gara 18 giorni soltanto dopo la nomination quando si scoprì che era stato in cura per depressione. Per tradizione spetta al numero uno del ticket scegliere il suo vice e fu così che McGovern scelse il capo dei PeaceCorps Sargent Shriver. Per mettersi in regola fu convocato il Comitato Nazionale Democratico che confermò Shriver in agosto, prima delle elezioni generali. Se Hillary si dovesse dimettere tornerebbero gioco forza in pista altri nomi: dal vice presidente Joe Biden che meditò a lungo se candidarsi per poi escluderlo dopo la morte del primogenito Beaux per un tumore al cervello, al segretario di Stato John Kerry che nel 2012 raccolse il testimone di Hillary dopo le dimissioni dal Dipartimento di Stato, anche in quel caso per motivi di salute. Mentre l’attuale numero due Tim Kaine non ha necessariamente precedenza nella scelta del Comitato, si è parlato di nuovo del senatore Bernie Sanders, che all’ex First Lady nelle primarie ha dato tanto filo da torcere, e della collega al Senato Elizabeth Warren. C’è chi parla di Chelsea Clinton (fantapolitica) e, in questa chiave, c’è chi sogna Michelle Obama: la First Lady scende in campo questa settimana per dare una mano all’altra ex inquilina della Casa Bianca portando davanti agli elettori popolarità, fiducia e carisma in misure tali che la Clinton non è mai riuscita a raccogliere.

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