Appena usciamo, se usciamo, dalla crisi, sarà il caso di cominciare a ragionare, traendo una lezione anche dalla gestione della pandemia, se sia il caso di far tornare in capo allo Stato alcune competenze come la Sanità, come disse l’ex Ministro Orlando nel 2020.
La regionalizzazione della gestione della sanità è stato un fallimento.
Uno dei punti principali che mi fa pensare a questo è “a seconda della qualità del sistema regionale che trovi, rischi di avere una speranza di vita differenziata: 20 sistemi sanitari creano, di fatto, disuguaglianze”.
Dobbiamo ricordare che la Legge 883 del 23 dicembre 1978 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che si basa su tre principi cardine: l’universalità, l’uguaglianza e l’equità.
- Universalità: Significa l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione. In osservanza del nuovo concetto di salute introdotto dalla legge di istituzione del SSN. La salute, a partire dal 1978, è stata intesa infatti non soltanto come bene individuale ma soprattutto come risorsa della comunità.
- Uguaglianza: I cittadini devono accedere alle prestazioni del SSN senza nessuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche.
- Equità: A tutti i cittadini deve essere garantita parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute. Questo è il principio fondamentale che ha il fine di superare le diseguaglianze di accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie.
Tutto questo in attuazione in attuazione dell’art.32 della Costituzione, che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Per governare un sistema sanitario sono necessarie al vertice molte competenze sia gestionali sia di governo; la frammentazione del sistema in tanti sistemi regionali costringe a riprodurre più figure con le stesse competenze con il rischio di non trovare le competenze necessarie moltiplicando inutilmente i costi. E poi è chiaro che non tutte le realtà locali hanno la stessa struttura amministrativa e politica per governare dei sistemi sanitari e ciò fa rischiare di assegnare dei compiti troppo gravosi alle realtà meno preparate.
Lungo la scia di sprechi, inefficienze, corruzione abbiamo visto scomparire l’articolo 32 della Costituzione di cui sopra citato.
Non esiste una sanità pubblica italiana. Ne esistono centinaia. Tante quante sono le regioni e le 225 aziende sanitarie locali in cui sono divise, e le 1488 strutture da esse governate che erogano prestazioni ai cittadini tra ospedali, case di cura, ambulatori ecc. Ognuno fa come gli pare, segue logiche politiche e di spesa autonome, affida arbitrariamente appalti. Spesso senza gara pubblica.
In sanità pubblica occorrono talvolta degli interventi che richiedono decisioni rapide e simili su tutto il territorio e questo è possibile sono in un sistema con un forte potere centrale efficiente.
E’ ora di cambiare, di tornare indietro nel tempo quando la sanità era uguale per tutti i cittadini come recita la Costituzione. E magari chiediamolo ai cittadini con un referendum, strumento democratico da usare davvero per ragioni serie.
Arturo Di Mascio – Economista