La Ue accerchia Facebook

Tutti i garanti della privacy UE possono fare causa a un’impresa che viola le norme sulla protezione dei dati, anche se è stabilita in un altro Stato dell’Unione. L’iniziativa giudiziaria, per bloccare condotte illecite, non è esclusiva dell’autorità capofila, cioè del garante dello Stato dove l’impresa ha il suo stabilimento principale, ma a certe condizioni si estende ai garanti degli altri Stati. È questo l’effetto della sentenza della Corte di giustizia UE del 15 giugno 2021, resa nella causa C-645/19, che ha contrapposto il Garante della privacy del Belgio a Facebook. In materia, si potrebbe rilevare che i garanti hanno già ampi poteri amministrativi per intervenire in caso di violazioni della privacy, ma il Regolamento Ue sulla protezione dei dati n. 2016/679 (Gdpr) ha voluto dare ai Garanti un’ulteriore possibilità e cioè il ricorso al giudice, che potrebbe essere altrettanto incisivo. L’articolo 58, paragrafo 5, Gdpr, infatti, incarica ciascuno Stato di disporre che il garante abbia il potere di agire in giudizio in caso di violazione della privacy: in Italia questa norma è stata attuata dall’articolo 154-ter del Codice della privacy (Italia Oggi p.32). Sul tema anche Verità (p.17), che titola: “Privacy, sberla dell’Ue a Facebook”. Per la corte di giustizia tutte le autorità dei singoli Paesi, non soltanto quella irlandese, possono fare causa per violazioni della Gdpr. Il colosso rischia una valanga di processi.

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