La vera storia di Arancia Meccanica di Kubrick è da brivido

Arancia Meccanica e Stanley Kubrick hanno fatto la storia del cinema. Forse però non tutti sanno che la trama di questo film cult è ispirato a una storia vera. L’esperienza realmente vissuta dall’autore del libro (e da sua moglie) dal quale è tratta la pellicola. I coniugi Burgess, infatti, nel 1944 sono stati aggrediti da quattro Marines. La violenza è stata tale da far perdere il bambino alla moglie dello scrittore.

Il titolo del libro e del film fa riferimento alla condizione dell’uomo, vittima della società e impossibilitato a decidere del proprio destino e rispetto alla propria morale. Si è in balia di un’arancia meccanica, un essere senza vita che viene innescato da qualcuno o qualcosa e che agisce nel bene e nel male.

La vera storia di Arancia Meccanica

La trama di Arancia Meccanica, che è stato un gran successo non solo al cinema, è una sequenza di episodi di violenza (anzi, ultraviolenza), narrati in serie e senza soluzione di continuità. I protagonisti sono Alex e i suoi amici – i drughi – che, sotto l’effetto delle droghe del Latte+, aggrediscono un uomo in biblioteca, rapinano un negozio, pestano a sangue un clochard, innescano una rissa con la banda rivale, rubano un’auto e si introducono in un’abitazione di campagna.

È proprio qui che si sviluppa la narrazione della violenza realmente subita da Anthony Brugess e da sua moglie incinta. È a casa loro che vengono picchiati. È qui che Alex, Pete, Bamba e Georgie si macchiano di violenza sessuale.

La cura Ludovico è esistita davvero?

L’ultraviolenza della banda si interrompe quando una ricca signora, che abita un’altra casa presa di mira dai drughi, si rende conto del pericolo imminente e chiama la polizia. Nonostante la donna venga comunque aggredita, le forze dell’ordine riescono a fermare e arrestare Alex.

È in prigione che viene sottoposto alla cosiddetta Cura Ludovico. Chi ha visto Arancia Meccanica ricorderà benissimo la scena in cui il protagonista, interpretato da Malcolm McDowell, viene sottoposto alla visione forzata di scene di violenza e stupro. Viene costretto a tenere gli occhi aperti con dei blefarostati, dei ferma-palpebre, mentre gli vengono somministrate delle droghe che lo fanno stare male.

L’obiettivo è creare delle associazioni fra i comportamenti deviati e la sensazione di malessere. Fra le musiche di sottofondo c’è anche la Nona Sinfonia di Ludwig Van Beethoven, da qui il nome dato alla terapia d’urto. Una melodia che Alex non potrà più ascoltare senza sentirsi a disagio.

La Cura Ludovico non esiste davvero, ma si basa sul condizionamento pavloviano, dal nome dello scienziato russo Ivan Pavlov. Secondo la sua teoria sul comportamento, un soggetto sottoposto a uno stimolo condizionante risponde di conseguenza.

Si tratta di una reazione prodotta nell’animale in cattività da un elemento esterno, che si abitua ad associare a un preciso stimolo (presentato prima, durante e dopo la fase di condizionamento). Il primo agente è quello che attiva il riflesso condizionato.

Nel film, a differenza del libro da cui è tratto, la “riprogrammazione del bene” non va a buon fine. Alex, infatti, dopo aver tentato il suicidio a causa degli effetti della terapia subita in carcere, torna a essere il ragazzo di prima. Ma questa volta con l’approvazione del Governo.

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