La visita speciale di Papa Francesco a Lampedusa

Una visita che ha suscitato curiosità quella di Papa Francesco a Lampedusa, isola siciliana in cui approdano gli immigrati, terra che accoglie milioni di persone che sbarcano nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore. Anche noi italiani siamo stati un popolo di immigrati, quanti nostri connazionali, soprattutto a cavallo tra le due guerre, si sono “armati” di valigie per sbarcare lì dove si stagliava la Statua della Libertà, che rappresentava un po’ la terra promessa dove trovare fortuna, benessere ed equilibrio. Negli ultimi tempi, la questione degli immigrati in Italia tiene banco anche nelle aule politiche, c’è chi vede in questo massiccio afflusso di stranieri uno spauracchio da cui bisogna guardarsi. Sta di fatto che Papa Francesco, ha deciso di superare per la prima volta i confini di Roma, giungendo a Lampedusa con la motovedette, in quelle acque che purtroppo sono state implacabili per molti immigrati che hanno perso la vita sognando un futuro con meno stenti e più prospettive. Papa Francesco, infatti, ha voluto omaggiare chi è rimasto vittima delle acque con una corona di fiori, un segno di umanità e solidarietà. Il Pontefice ha lanciato messaggi di pace, di amore improntati al Vangelo, per dare dignità a tutti coloro che, privi del necessario per la propria sussistenza, decidono di imbarcarsi, sfidando maree e perturbazioni, nell’illusione di riscattarsi da esistenze caratterizzate da profonda miseria. Nella omelia, tenutasi allo stadio “Arena” di Lampedusa, gremito tra l’altro da diecimila persone, il Santo Padre ha tuonato contro la “globalizzazione dell’indifferenza”, cioè questa pretesa di trovare il benessere abbattendo le frontiere, ha fatto sì che regnasse sovrana l’insensibilità verso i fratelli che soffrono. Ecco, il Papa ha usato parole forti su questo punto dicendo che “abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto”. Come se fossimo tutti un po’ Ponzio Pilato, ce ne laviamo le mani mentre gli altri soffrono dall’altro lato della strada, tutti perché siamo vittime di un meccanismo di efficientismo, prima il nostro benessere, l’altro può aspettare. E nell’attesa va a finire che, l’aiuto messo in naftalina, non occorre più. Papa Francesco ha salutato anche gli immigrati musulmani nella speranza che, le pratiche della loro religione, portino abbondanti “frutti spirituali”. Perché il concetto di fede, in un certo senso, così come si sposa, si può anche smarcare da quello di religione che indica più un’appartenenza, una adesione, mentre la fede è la palestra dello spirito, che allena la voglia di amare e l’esercizio di donarlo e trasmetterlo in gesti di carità. Ed è questo che bisogna fare nel nome di Dio…

Maurizio Longhi

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