(Lazio- Juventus 1-1) Ancora una volta il giocatore della Lazio Caicedo risolve una partita negli ultimi secondi del match.
Che il popolo laziale sia un popolo che ama soffrire è risaputo. Che le sue coronarie debbano essere forti lo si testò fin dai gol di Fiorini, che consentirono di approdare agli spareggi per la salvezza, e di Poli, nella partita con il Campobasso, che decretò la permanenza in serie B. Era il lontano 1987 e, da quello scalino così basso, la squadra della Lazio ha inanellato stagioni mediocri e risultati esaltanti, vittorie nazionali ed europee, il rischio del fallimento dopo l’illusione della stagione del presidente Cragnotti e la stagione Lotito con il suo rapporto conflittuale con la propria tifoseria. Gli ultimi secondi di quelle lontane partite sono stampate nella mente dei suoi tifosi. Ma nulla rimane immutato e il calcio ci offre sempre un rinnovamento di tattiche, linguaggi, metodologie. Di giocatori, allenatori e presidenti.
Da un po’ di tempo, nel calcio si è materializzata una nuova “zona”. Il termine “zona” fu preso in prestito dal bridge e applicato al nome di un giocatore del passato, Renato Cesarini era ancora un periodo in cui il calcio era un semplice “sport” e non una “professione commerciale ad alto contenuto di prestazione tecno-fisica”. La “zona Cesarini”, il momento in cui l’invenzione di una giocata cambia l’esito della partita negli ultimi istanti, ha simboleggiato per decenni quello spazio del cuore ove le speranze si addensano come giganti sopra la leggera sfumatura dei passaggi, dei tiri, delle punizioni. È quello spazio mentale in cui la speranza di un possibile colpo di frusta della storia, possa ribaltare ciò che è scontato ai più e ciò che sembra possibile solo nello specchio di Alice, racchiuso nella sfera dell’improbabile che ha ancora una speranza teorica di divenire realtà, si concretizza inesorabilmente.
È quella la metafora racchiusa nel “pallone”. “È rotondo!” si grida nei bar o sui social per indicare che l’improbabile può divenire realtà se, nel nostro cuore, lo si sa conserva talmente vigoroso da poterne distillare, alla fine, la sua materializzazione. La “zona”, che nel frattempo da “Cesarini” sta aggiornando i propri file in “Zona Caicedo”, è quel condensato di eventi che fa esplodere di gioia, una parte, e gridare al “furto”, l’altra. Per chi sta vincendo, infatti, la partita è finita sempre prima del tempo. Per chi sta perdendo ogni secondo contiene ancora dentro quel condensato di speranza che si chiama vita.
È così che un fanciullo di oggi, lontano dai ricordi del calcio della “zona Cesarini” che si giocava con i palloni di cuoio marrone, senza parastinchi e che prevedeva ancora “il terzo tempo all’osteria”, può ancora pensare che il mondo contenga al suo interno la speranza che, come dicevano i latini, “è l’ultima dea”. E non solo per i laziali, oggi, porta un nome: Caicedo.