Non si placa la bufera sul segretario della Cgil, Maurizio Landini che ha licenziato il suo portavoce in base al Job Acts: la legge che contesta così ferocemente in piazza. Le polemiche sulla Cgil però non si fermano qui. Come rivela Laura Cesaretti sul Giornale, i costi della comunicazione del sindacato rosso, hanno raggiunto cifre mostruose, nulla rispetto ai 55mila euro risparmiati per licenziare il portavoce. Solo nell’anno 2022, il sindacato la Cgil di Landini ha messo a bilancio 2,7 milioni di euro di spese per la comunicazione. Tanto per avere una pietra di paragone, il Quirinale, nello stesso anno, ha speso meni di 800mila euro. In pratica, la Cgili di Landini costa il triplo del Quirinale Mattarella.
Ecco, nel dettaglio, cosa ha scoperto Il Giornale. «La “riorganizzazione” della comunicazione, appaltata da Landini un paio d’anni fa alla srl Futura (di cui Cgil nazionale è socia di minoranza al 48,8% ma di cui garantisce le esposizioni), si è rivelata piuttosto costosa. Nel bilancio ufficiale Cgil 2021, alla voce «oneri per il comparto comunicazione», la cifra è di 2.846mila euro. Nel 2022, si registrano 2.710mila euro, di cui 2.141mila per Futura srl. Nel corso del 2022, si legge, «sono stati effettuati versamenti in conto capitale per euro 2.002.800 per permettere a Futura srl la prosecuzione del proprio consolidamento. In data 23 gennaio 2023 Futura srl ha comunicato che a seguito della perdita di bilancio 2021 ha utilizzato euro 1.089.201 dai versamenti in conto capitale che la società ha ricevuto dalla Confederazione». Non solo la Confederazione, ma anche le singole categorie e le segreterie locali contribuiscono generosamente al finanziamento della comunicazione, visto che a Futura srl è stata affidata la gestione dell’intero «ecosistema multimediale» del sindacato: il portale di informazione Collettiva (9mila contatti al giorno, non moltissimi), la radio Articolo 21, i podcast, le edizioni Ediesse, il sito Cgil, i social etc. Un massiccio investimento voluto da Landini, che sulla propria visibilità mediatica punta come è noto moltissimo, con criteri che la minoranza della Cgil definisce «più da marketing privatistico che da propaganda sindacale».