Indagine su Renato Caccioppoli matematico napoletano, edito da La nave di Teseo; una biografia dell’affascinante quanto sfuggente matematico al quale la legano ascendenze non remote: qual era il carattere del matematico napoletano?
L’attrito della vita. Indagine su Renato Caccioppoli, matematico napoletano, Lorenza Foschini.
Difficile descrivere il carattere di Caccioppoli. Il genio è insondabile per noi. Nel libro cito le parole di Leonardo Sciascia che parlando di Ettore Majorana riesce però a rendere magnificamente l’idea di quello che accade nell’animo di queste persone di intelligenza fuori dal comune come Renato: “Nel genio precoce — scrive Sciascia — la vita ha come un invalicabile misura: misura di tempo, di opera. Una misura come assegnata, come imprescrittibile. Appena toccata, nell’opera, una compiutezza, una perfezione, appena svelato compiutamente un segreto, appena data perfetta forma, e cioè rivelazione a un mistero — nell’ordine della conoscenza o, per dirla approssimativamente, della bellezza: nella scienza o nella letteratura o nell’arte — appena dopo è la morte.”
Sono parole che esprimono profondamente il tormento interiore di Caccioppoli segnato dalla gioia infinita che si prova nel momento di una grande scoperta, o di un risultato che si temeva irraggiungibile e immediatamente dopo colpito da ansia e angoscia e dalla vertiginosa sensazione del nulla che ritornava a invadergli l’anima.
Ma non bisogna immaginare Renato come un essere solitario e misantropo. Al contrario, nonostante i tormenti interiori che negli anni si accresceranno, era al tempo stesso una persona di straordinario fascino, un gran parlatore, un conversatore magnetico, persino mondano. Amava discorrere per ore e ore, instancabile ma sempre inquieto, sempre “posseduto”, quasi che da un momento all’altro il ricamo sottile delle connessioni dovesse spezzarsi.
Intellettuali raffinati come André Gide, i poeti Éluard e Neruda, Moravia e Morante, Eduardo de Filippo erano incantati da lui, dalla sua verve e dalla sua sconfinata cultura. Ma diventava feroce e intrattabile se si trovava davanti quelli che non sopportava e per cui provava invece una furiosa insofferenza: gli ottusi borghesi, i “morti viventi” come usava chiamarli, perché sempre impegnati in quel chiacchiericcio fatuo e banale che lo irritava al punto da suscitargli una violenza verbale irrefrenabile, perché la stupidità gli faceva male fino a ferirlo.
Bakunin era realmente il nonno di Renato Caccioppoli?
Per anni si è parlato dell’anarchico Carlo Gambuzzi come del vero padre di Carlo, Giulia Sofia e Maria Bakunin. Ma queste voci sono state sempre smentite con sdegno dalla famiglia e anche dai seguaci del fondatore del movimento anarchico. Tuttavia una lettera scoperta recentemente negli archivi di Amsterdam dallo studioso Carmine Colella ha messo la parola definitiva sulla dubbia paternità di Michail. Bakunin scrive il 16 dicembre 1869 da Locarno all’amico poeta Nikolaj Ogarëv raccontandogli come sua moglie Antonia gli abbia confessato tra le lacrime il suo amore per Gambuzzi e di come egli l’abbia perdonata riconoscendo il figlio Carlo avuto dall’amante, a patto che ponesse fine alla relazione. Cosa che non accadde e Antonia Bakunina ebbe dall’amante altri due figli, Giulia, madre di Renato e Maria rinomata docente di chimica. É probabile che tutti i membri della famiglia nutrissero sospetti, ma tendessero a rimuoverli. Troppo forte su di loro e sulla città intera il richiamo del fascino dell’anarchico russo. Troppo seducente l’illusione che nelle loro vene potesse scorrere il ribollente sangue del rivoluzionario. “Non ho certezze, al massimo probabilità” amava dire Renato forse anche alla luce delle “cose” di famiglia. Ed è possibile che questo dubbio si sia insinuato nella fragile consapevolezza di sé, contribuendo a minare ulteriormente ogni remota certezza e ad accrescere i suoi tormenti che sin da bambino hanno oscurato la sua mente, illuminata solo dalle straordinarie intuizioni matematiche e dalla gioiosa scossa delle vibrazioni musicali. Caccioppoli era un pianista straordinario e cercava nella musica sollievo alle sue angosce.
Quale legame lo univa alla sua città natale?
Ho cercato di capire la radice del legame, profondo e misterioso, che univa Renato alla sua città, ma non è facile. Caccioppoli, tranne un breve periodo di insegnamento a Padova dal 1932 al 1934, non ha mai lasciato Napoli se non per brevi viaggi. I napoletani lo vedevano con premurosa attenzione ogni mattina percorrere sempre la stessa strada che dal meraviglioso e incantato palazzo Cellammare lo conduceva all’università. Ogni anno sempre più emaciato, roso dall’alcool e dall’inquietudine, ma tuttavia brillante, estroso, affabile, a tratti spiritosissimo. Di giorno e di sera in compagnia dei suoi studenti oppure nei salotti musicali, al San Carlo o al Conservatorio di San Pietro a Majella; di notte vagava senza meta, attraversava i quartieri spagnoli e i vicoli malfamati alla ricerca di osterie dove beveva fino all’abbattimento. Il filosofo Gustav Herling, genero di Benedetto Croce, lo descrive con “il volto magro tormentato, quasi da uccello, un ricciolo sulla fronte. Ogni tanto si fermava, tirava fuori il pacchetto delle sigarette e, appoggiato al muro, vi scriveva sopra”.
Ma il mistero di questo legame, una vera simbiosi con la città, si può cogliere meglio osservando il rapporto che Renato aveva con il popolo napoletano. All’uscita di casa trovava tutti i giorni ad aspettarlo un gruppetto di fedeli, un operaio della Compagnia del gas, un impiegato dell’Enel, un impagliatore di sedie che gli trotterellavano accanto accompagnandolo dovunque. É un mistero capire di cosa parlassero con lui, ma certamente Caccioppoli aveva un suo modo di comunicare col popolo napoletano. Lo amavano le ostesse con cui si tratteneva a lungo senza toccare cibo, lo amavano gli abitanti dei bassi, le puttane, i “femminielli”. Poliglotta, parlava con loro una lingua comune, un napoletano antico, che a volte usava anche per fare lezione “perché – diceva – la matematica è poesia”.
Infine credo che l’immagine più significativa del nodo che univa Renato a Napoli è una fotografia che ritrae i suoi funerali con il feretro seguito da centinaia di persone. Uno accanto all’altro, in una sorprendente mescolanza, docenti, studenti, compagni delle sezioni del Pci, aristocratici melomani, musicisti, scrittori, intellettuali e il popolo. Tutti uniti nella amara consapevolezza di avere perso per sempre una persona fuori dal comune profondamente amata. Il suicidio del grande matematico napoletano è stata una ferita mai rimarginata nel cuore pulsante della città.
Nel libro Lei descrive puntualmente il genio straordinario di Caccioppoli: «Nello spazio di soli cinque anni, pubblica una trentina di lavori che lo portano in cattedra quando ne ha soltanto ventisei. Sono studi rivolti all’analisi funzionale lineare e alla teoria delle funzioni di variabili reali»: quale influenza ha avuto sullo sviluppo dell’analisi matematica il matematico napoletano?
Caccioppoli è stato un genio della matematica che ha influito molto sulle generazioni successive di matematici. Io, che non sono in grado di affrontare temi di così grande complessità, posso limitarmi a segnalare per grandi linee le sue ricerche.
Carlo Sbordone, che ha fondato a Napoli una scuola di analisi matematica e che ha perseguito e rinnovato la tradizione delle ricerche classiche intraprese da Renato, mi ha spiegato che è impossibile dare in breve spazio un’idea completa del suo lavoro che ha investito i principali settori dell’analisi matematica. “I primi interessi di Caccioppoli – afferma – furono rivolti all’analisi funzionale e alla teoria delle funzioni a variabili reali, con particolare riguardo all’integrazione, alle funzioni d’insieme, alla quadratura delle superfici, all’approssimazione lineare.” In una nota del 1926, anticipando in un caso particolare il noto teorema di Hahn-Banach, dimostrò che mediante successivi passaggi al limite, un funzionale lineare continuo, definito inizialmente solo sull’insieme di tutte le funzioni continue, poteva essere prolungato sull’insieme di tutte le funzioni limitate di Baire. Le idee che Caccioppoli concepisce ad appena ventitré anni nello studio della quadratura della superficie contengono anche il germe della profonda teoria della misura e dell’integrazione negli insiemi dimensionalmente orientati: “Ho delineato – scriveva in quei giorni – nei suoi tratti essenziali, un nuovo capitolo del calcolo integrale moderno.” E ancora, in una memoria del 1928, per lo studio del passaggio al limite sotto il segno di integrale in condizioni assai generali, il giovane Caccioppoli introduce l’importante nozione di “famiglia di funzioni uniformemente a variazione limitata”.
Renato scriveva i suoi lavori di getto, come per precisare innanzitutto a sé stesso e a chi fosse in grado di seguire le sue argomentazioni i termini dei problemi. Lasciava nelle sue note una traccia spesso concisa, succinta delle intuizioni che l’avevano condotto alla soluzione. I suoi lavori spesso sono di lettura difficile, ma a chi voglia e sappia comprenderli danno la sensazione, inebriante, di partecipare a un nuovo capitolo della scienza matematica.
Non bisogna inoltre dimenticare l’importantissima influenza che Caccioppoli ha avuto nello sviluppo dell’analisi matematica su di un’intera generazione di analisti italiani in un periodo, il ventennio fascista, in cui il nostro paese era isolato dal mondo.
Caccioppoli fu uomo dai molteplici interessi: oltre alla matematica, il cinema, la letteratura, la musica, tanto da sognare la carriera di pianista o di direttore d’orchestra; come maturò la scelta della matematica?
Renato a neanche vent’anni stupiva per la superiorità del suo ingegno, la velocità delle intuizioni che si accompagnava anche a una prodigiosa conoscenza della musica. Suonava meravigliosamente il piano ed era indeciso se intraprendere la carriera di direttore d’orchestra o di pianista o continuare gli studi di matematica. Fu Benedetto Croce, amico di famiglia a dirgli: “Caccioppoli continuate in matematica. Ci vuole un metodo che la passione non può dare. La musica sopravviverà.”
Ma la musica lo ha accompagnato per tutta la vita. Ha sempre continuato a suonare il piano fino all’ultimo. Una volta a Bari al teatro Piccinni, in occasione di una manifestazione dei partigiani della pace di cui era un’autorevole esponente, mentre si accingeva a parlare notò sul palcoscenico un pianoforte a coda. Si avvicinò, si sedette, e per l’uditorio prima sorpreso e poi ammaliato, al posto di un discorso tenne un concerto.
Come visse Caccioppoli l’impegno politico?
Renato era un uomo libero, nel vero senso della parola. Era vicino al partito comunista ma non ha mai preso la tessera. L’unico distintivo che portava all’occhiello, semi nascosto in verità, era la colomba disegnata da Picasso, simbolo dei partigiani della pace. E per la pace è stato sempre un militante attivo.
Ma è stato soprattutto, lui che durante il fascismo è stato spiato e persino rinchiuso per un mese in manicomio, capace di andare aldilà delle barriere ideologiche. Dopo la caduta del regime, difese il suo maestro Mauro Picone fascista della prima ora dimostrando di essere, aldilà delle valutazioni sommarie, capace di guardare, lui così insofferente e vittima della dittatura, dentro gli uomini e le cose.
Vorrei inoltre sottolineare il prezzo che Caccioppoli ha pagato per le sue idee di libertà anche nel dopoguerra. Ha continuato ad essere spiato, fermato dalla questura nel corso di manifestazioni contro il governo, ostacolato quando per i suoi meriti era chiamato a partecipare a importanti congressi internazionali. Uno dei più grandi matematici del 900 era costretto a sottoporsi all’umiliazione di rivolgersi alla polizia per poter lasciare l’Italia, ricevendo sempre un ferreo diniego.
In una lettera al professor Picone scrive con amarezza dopo l’ennesimo rifiuto di rilasciargli il passaporto: “Le frontiere del nostro ‘libero’ paese possono essere varcate da un riconosciuto contrabbandiere di stupefacenti, ma non da un prof. Renato Caccioppoli, sospettato a torto o a ragione di contrabbando di idee.”
Mi domando quanto i continui dinieghi, i pedinamenti, i sospetti abbiano inciso sul suo ingegnoso, geniale ma fragile sistema nervoso messo a dura prova nel corso della vita.
«Renato è, sin da piccolo, afflitto da un continuo tormento interiore»: in che modo questa sofferenza lo accompagnò lungo tutta la vita, sino al tragico epilogo?
Renato è stato fin da piccolo di una tale sensibilità da attraversare periodi di abbattimento e di grande sofferenza. La sua famiglia lo seguiva con apprensione, ma non ne comprendeva la causa. Ma è quando superò l’adolescenza, arrivato alle soglie dei vent’anni, che in lui accadde qualcosa di misterioso. Un velo si squarciò nella sua mente, spalancandogli davanti distese sconfinate di conoscenza, ma subito dopo sensazioni abissali di vuoto interiore. Angoscia e ansia, simili a una morsa che stringe il petto, diventano per lui fardelli insopportabili, sempre più pesanti da gestire. È in questo momento della vita che incomincia a bere, lo spiega bene Fabrizia Ramondino che lo conosceva e ne ha esplorato la vita: “Come alle contrazioni e dilatazioni del cuore corrispondono, metaforicamente, un distendersi di tutte le membra dopo che si è stati in catene, un allargarsi del respiro dopo che si è stati rinchiusi in un’angusta prigione, così se si è stretti dall’angoscia, ci si espande nell’ebbrezza. L’alcol non è solo un vasodilatatore – è un’anima-dilatatore”.
In Renato, come per Baudelaire, l’ebbrezza e l’oppressione sono riconoscibili nel concentrarsi e dilatarsi dello spazio e del tempo. Lo spazio e il tempo diventano profondi: “annullano – scrive Roberto Calasso – il loro aspetto di superfici opache e svelano a poco a poco una successione di quinte fra le quali perdersi.” Penso che considerare l’opera di Renato Caccioppoli rimuovendo la sua inquietudine esistenziale, che da questo momento segna comunque e profondamente il suo percorso scientifico, sarebbe un imperdonabile errore.
Lorenza Foschini, giornalista napoletana, ha condotto a lungo il Tg2. Autrice e conduttrice di trasmissioni di successo, ha realizzato documentari e programmi di approfondimento. Tra le sue pubblicazioni: Il cappotto di Proust. Storia di un’ossessione letteraria, Zoé, la principessa che incantò Bakunin. Passioni e anarchia all’ombra del Vesuvio, Il vento attraversa le nostre anime. Marcel Proust e Reynaldo Hahn. Una storia d’amore e d’amicizia. Ha inoltre curato La democrazia in trenta lezioni di Giovanni Sartori.