Maggiori le possibilità di trovare un lavoro per i laureati in materie sanitarie, infermieristiche e ostetriche. Più difficile la ricerca di un lavoro per chi ha conseguito un titolo in Lettere e filosofia. Non solo, cresce la quota di chi è in cerca di occupazione dopo quattro anni dalla fine degli studi universitari. E per le donne è più difficile accedere al mercato del lavoro. Sono i dati che emergono dal rapporto dell’Istat, “Laureati e Lavoro”.
Tra le lauree triennali i migliori esiti occupazionali – ha spiegato l’Istat – si riscontrano per i corsi afferenti alle classi delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche (circa il 95% di occupati). Tra le lauree specialistiche biennali, livelli di occupazione superiori al 90%, abbinati a quote di lavoro continuativo iniziato dopo il titolo maggiori del 70%, si registrano per i corsi di ingegneria meccanica, gestionale ed elettronica e per quelli di architettura e ingegneria edile e delle scienze economico-aziendali.
Le situazioni più critiche sono quelle relative ai laureati nei corsi afferenti alle classi triennali di scienze biologiche, scienze della terra, lettere e filosofia (con tassi di disoccupazione superiori al 40%). Le difficoltà dei corsi dei gruppi geo-biologico e letterario si riscontrano anche per i laureati del biennio specialistico.
Più in generale, nel 2011 lavora il 71,5% dei laureati che hanno conseguito il titolo nel 2007, mentre è in cerca di lavoro il 15,2%. Rispetto all’edizione precedente dell’indagine (rilevazione del 2007 sui laureati che avevano conseguito il titolo nel 2004), si riduce la quota degli occupati (erano il 73,2% nel 2007) e cresce quella delle persone in cerca di lavoro (erano il 13,5% nel 2007).
Per le donne laureate è più difficile accedere al mercato del lavoro rispetto agli uomini. Tra coloro che si sono laureate nel 2007, lo svantaggio è evidente con un differenziale nei tassi di disoccupazione rispetto agli uomini di circa 8 punti: la disoccupazione femminile, nel 2011, è del 23% contro il 14,8% maschile (per le lauree triennali) e del 18% contro il 10,2% maschile (per le altre).
Anche una volta entrate nel mercato del lavoro, le donne restano penalizzate. Infatti hanno un’occupazione a tempo indeterminato meno frequentemente degli uomini (quasi 48% per le lauree triennali e circa 43% per quelle a ciclo unico o specialistiche biennali contro il circa 51% maschile in ambo le tipologie), mentre mostrano percentuali più elevate di lavori occasionali (rispettivamente, 10,5% contro il 7,2% e 11,5% contro 7,6%) e di lavori “a termine” (32,2% contro 26,4% per le lauree di durata triennale e 29,2% contro 18,4% per quelle a ciclo unico e specialistiche biennali).
Giovani lavorano grazie ad amici e famiglia. Il merito incide sempre di meno sulla possibilità dei giovani di trovare un lavoro. Quasi la metà dei ragazzi, infatti è occupato grazie alla famiglia o agli amici. Su 13 milioni di under 35, nove vivono ancora a casa con i genitori e solo in due milioni hanno dei figli. A tre anni dalla laurea il 26% non ha ancora un impiego e il salario medio per gli under 35 è di 1.123 euro, cifra che scende a 1.000 per le donne. E’ quanto rileva un’indagine presentata al 42esimo convegno dei giovani di Confindustria, rielaborando dati di Bankitalia, Istat e Censis.
La fotografia dei giovani italiani rimanda una società ancora molto familistica, dove scuola e lavoro appaiono come universi incomunicanti. I salari sembrano crescere solo con l’anzianità di servizio e non con il merito e i giovani vengono esclusi dai posti di dirigenza. Infatti, tra i laureati che riescono a trovare lavoro il 43% lo fa grazie a familiari e amici, il 10% inizia una attività autonoma e solo il 3% ci riesce tramite l’università o la scuola. E gli occupati con meno di 35 anni solo il 3,8% è un libero professionista, solo il 2,3% ricopre posizioni dirigenziali e solo lo 0,5% è imprenditore.
Tra il salario di un 35enne e quello di un 65enne c’è uno scarto retributivo del 29%. La differenza sale addirittura al 92% nel confronto fra laureati. Il mercato è chiuso per i più giovani: alla poca flessibilità in entrata (un ragazzo di 25 anni in Italia ha il 25% di possibilità di trovare lavoro, contro il 35% della Germania e il 45% Gran Bretagna) corrisponde una elevata flessibilità in uscita (la probabilità di transizione da occupazione a disoccupazione a 25 anni è del 6,3% in Italia contro il 4,1% della Germania), che diminuisce drasticamente però dopo i 35 anni (al 2,1% contro il 4% della Germania).