Il Pd prova a dare il là a un’opposizione ‘costruttiva’ e presenta la propria proposta per istituire il ‘salario minimo’, una misura che si affianca a quelle per l’estensione del reddito di inclusione e per garantire un sostegno alle famiglie con figli presentate nelle scorse settimane. Maurizio Martina, Graziano Delrio e Chiara Gribaudo hanno presentato la proposta alla Camera, spiegando che si tratta di una ‘sfida’ al governo e alla maggioranza. E’ una risposta alternativa – ha detto Martina – alle proposte che la maggioranza sta vagheggiando.

La misura prevede un salario minimo di 9 euro l’ora e sanzioni fino a 20 mila euro a carico degli imprenditori che violano la norma. In tutto, il provvedimento riguarderebbe 2,5 milioni di lavoratori, i cosiddetti ‘working poors’.

‘La proposta sul salario minimo, che il Pd ha avanzato, deve avere una discriminante essenziale: non può riguardare i lavoratori che hanno un contratto di lavoro’,  dichiara Cesare Damiano, del Partito Democratico, a proposito della proposta dello stesso Pd sul salario minimo. Altrimenti, continua,  ci inoltriamo su un terreno scivoloso: un conto è immaginare un salario di legge per i cosiddetti rider, destinatari di un lavoro occasionale (fino a quando non verrà contrattualizzato), un altro è intervenire sul salario di un metalmeccanico. Inoltre, non commettiamo l’errore di identificare con il salario il costo del lavoro. Va da sé che un contratto di lavoro, oltre al salario, prevede le tutele per malattia, maternità e infortunio; le ferie, le festività, i permessi retribuiti; i contributi previdenziali, la tredicesima e, quando si contratta in azienda, anche la quattordicesima e il premio di risultato; il trattamento di fine rapporto, la previdenza integrativa e, adesso, anche quella sanitaria; le residue tutele in caso di licenziamento. E via elencando. Si tratta di costi indiretti per le aziende che, sommati, valgono molto di più della sola retribuzione oraria. Su questo tema sarebbe opportuno un confronto preventivo con le parti sociali, anche perché questa scelta, se non è chirurgicamente calibrata, può interferire pesantemente sull’autonomia contrattuale e sul sistema delle relazioni industriali’.