Pochi mesi fa, una legge fatta in quattro e quattr’otto per evitare il referendum anti-voucher della Cgil, ha trasformato i vecchi buoni-lavoro in contratti di prestazione occasionale, vincolati a un complicato intreccio di limiti e divieti, che impedisce alla maggior parte delle imprese di accedervi. E i risultati, scrive oggi Repubblica, si vedono: I primi 45 giorni di vita del nuovo strumento ci consegnano in realtà un bilancio assai magro. Sono appena 6.742 i lavoratori che hanno svolto finora prestazioni occasionali: quasi tutti (6.056) al servizio di microimprese, e solo 686 per lavori familiari. Sulla piattaforma Inps – si legge ancora – si sono registrati 16.250 utilizzatori e 10.767 lavoratori, per un totale di oltre 27 mila utenti.
“Non potevamo attenderci un livello più alto di ricorso al lavoro occasionale “, commenta il giuslavorista Pietro Ichino, senatore del Pd. “La legge ora esclude da questa opportunità tutte le imprese con più di 5 dipendenti stabili: in questo modo si è tagliato fuori il novanta per cento della platea di datori di lavoro che nel regime precedente potevano utilizzare i voucher”. Ecco uno dei nuovi paletti, sicuramente il più ingombrante. Tanto da ridimensionare drasticamente le previsioni di accesso ai nuovi voucher elaborate dall’Inps. Secondo l’Istituto di previdenza – scrive ancora Repubblica – non si supererà il 20% di quanto realizzato nel 2016, anno che registrò un picco di 1,6 milioni di lavoratori e 134 milioni di voucher. L’80% in meno significa che ci dobbiamo aspettare a regime poco più di 300 mila prestatori di lavori occasionali. La spiegazione che viene data sta tutta nella nuova costruzione di vincoli e divieti. I quali sono stati inseriti per tutelare meglio i lavoratori, per evitare l’abuso di lavori normali spacciati per occasionali (anche se si era già provveduto a rendere obbligatoria la tracciabilità). E soprattutto per scongiurare il referendum incombente.