Consapevole che ogni legge dello Stato deve essere rispettata ma non per questo condivisa, come appassionato del diritto ed in specie di quello penale, nonché battagliero avvocato di foro di Giustizia Giusta, di fronte all’imponente riforma “ Cartabia” ideata per l’efficienza del processo, ma in realtà frettolosamente ha stravolto interi settori del civile e penale, mi pregio significare delle brevi riflessioni di pensiero spontaneo e libero ex art. 21 della Carta Costituzionale.
Storicamente, il processo, per sua natura, nasce nell’oralità rectius discussione in presenza tra le parti (principio cardine di civiltà giuridica) e in questa sede, lungi da tecnicismi che non giovano, scrivo apertamente, una volta per tutte che la riforma Cartabia, oltre a stravolgere il detto nobile principio, per cui è nato il processo, con l’introduzione del processo cartolare (sia in appello che in Cassazione) appunto dello scritto e repliche connesse, presenta delle criticità davvero insuperabili. Criticità che hanno il sapore dell’eliminazione fisica degli interpreti (avvocati, pubblici ministeri ed imputati), dall’ambiente processuale, cosicché la difesa sarà relegata a mera comparsa scritta che in quanto tale, potrebbe diventare anonima, nel momento in cui il giudicante di turno, non avesse quella necessaria e dovuta sensibilità alla lettura intesa come discernimento.
Per l’effetto, l’introduzione del processo cartolare di derivazione emergenziale come periodo maledetto Covid 19 (con previsione dell’assenza degli interpreti), oggi diventata la regola, sovverte l’essenza stessa del processo come palcoscenico ad arte. A ciò, non vale, la clausola di stile rectius ad hoc di salvaguardia
che ciascuna delle parti coinvolte può chiedere la trattazione orale con motivazione, perché così facendo s’intuisce chiaramente la ratio della legge che è quella del processo scritto rectius nella sua aridità, ossia senza la presenza delle parti. Così facendo, il processo via chat, con la santa benedizione dei leoni da tastiera, di fatto abolendo l’oratoria come testimonianza viva dell’originario processo, uccide la sua anima come soffio vitale. Questa non è giustizia giusta. Di conseguenza, l’imputato di turno sballottato da cotanta antiriforma, (presunto innocente fino alla condanna definitiva così come da Carta Costituzionale e CEDU), viene limitato nella sua difesa come essenza del processo. Ancora l’istituto della improcedibilità come tagliola, ossia se il processo d’appello (e/o Cassazione) non si celebra entro un certo tempo, viene pronunciata l’improcedibilità sic et simpliciter, non dà tutela effettiva a tutte quelle parti civili vittime, né persino allo stesso imputato che ha sempre il diritto di avere una sentenza di assoluzione, preclusa dalla pronunciata improcedibilità. Ma vieppiù. Ulteriori effetti indesiderati sono ad esempio: caso furto in flagranza, ladro fermato per 48 ore ma lasciato libero perché il proprietario (momentaneamente all’estero) non è ritornato in tempo, per proporre la querela; Il sequestrato oggi dovrebbe chiedere ai sequestratori di liberarlo per il tempo necessario per proporre la querela, altrimenti tutto diventa improcedibile appunto per difetto di querela? Ancora la “ clausola introdotta della ragionevole previsione di condanna innanzi al GIP-GUP e Predibattimento”, ha il sapore dell’anticipazione della condanna? Il tempo risponderà. Potrei fare altri esempi di criticità della riforma Cartabia ma non risolverei il problema principale, ossia che la “ Riforma Cartabia con il massimo rispetto per la sua ideologa già Benemerita
Costituzionalista Presidente”, abolisce di fatto l’oratoria come principio di diritto e che la giustizia di conseguenza si fa benedire dal formalismo introdotto (con le sue regole appesantite) che di fatto non tutelano il diritto al processo equo. Così nel silenzio assordante e circolante a parte qualche debita eccezione; n primis il dott. Nicola Gratteri che a dire il vero in tempi non sospetti, seppur dalla sua pregiata angolazione, ha denunciato, senza peli sulla lingua, pubblicamente le dedotte criticità, purtroppo oggi vigenti. Ergo, di fronte alla descritta situazione derivata, come può conciliarsi il diritto all’equo processo, con le sue vive articolazioni (gestualità, pathos, dramma e mimica connessa), storicamente
inteso, con questa riforma? Rispondere diviene accademico. Perché in fondo, di quello che era il processo (soprattutto penale con la sua sacralità di Toga Memoria), è rimasto poco o niente con la mortificazione dei Diritti coinvolti. Dinanzi al descritto scenario, è arrivato il momento che l’avvocatura come Istituzione forense, torni alla sua primigenia autorevolezza, per riprendere il cammino interrotto del processo, per riavviare, l’augurata Nuova Alba di Primavera, per il ritorno ai fasti tempi, dove combatteva orgogliosamente“ nell’arena presenziale”, per l’affermazione dei Diritti Umani, come essenza stessa della sua ragion d’essere. A me no che, non vogliamo dimenticarli, lo dobbiamo a tutti i nostri benemeriti maestri “Oratori” che ci hanno trasmesso emozioni di vita nonché insegnamenti eterni di come nel processo orale ed in presenza effettiva “come azione dinamica e gesticolante di forza oratoria”, sia vivo il loro dolce ed imperituro ricordo. Dulcis in fundo, semmai l’Europa (con le sue regole sovrane del tipo PNRR rectius fiumi di danaro a vincolo), aveva imposto di velocizzare i processi e non di non farli.
Perché la “ Giustizia” come fattore Umano, non può dare spazio a robot ed artifici che non siano appunto Umani, proprio dell’uomo che nella storia, per regolamentare la convivenza civile ha avuto sempre bisogno di “ un processo vivo in presenza, come arte scenica a salvaguardia dei diritti coinvolti”.
“.. almeno due locutori davanti a qualcuno che li ascolta e regola: affermano, negano, adducono prove, elaborano i rispettivi materiali, disputano, vigono regole miranti a stabilire quale sia l’ipotesi migliore e che i dibattimenti siano anche Teatro” (Maestro Franco Cordero).
Grazie per la cortese attenzione e buona riflessione. Per non dimenticare.
Avv. Janfer Critelli