Le pensioni delle donne, tra carriere interrotte e ricompense diseguali

Per molto tempo la ricerca sulle disuguaglianze pensionistiche ha riguardato soltanto i lavoratori uomini, concentrandosi ad esempio sulle differenze tra lavoratori più o meno istruiti. Negli ultimi decenni, però, sempre più donne – entrate nel mercato del lavoro nella seconda metà del ‘900 – hanno raggiunto l’età pensionabile: lo studio delle disuguaglianze di genere nei redditi da pensione (il cosiddetto Gender Pension Gap – Gpg) rappresenta un tassello importante per la comprensione dei meccanismi che determinano l’accumulazione di svantaggi lungo il corso di vita individuale.

Il Gpg è la differenza percentuale nel reddito pensionistico medio tra uomini e donne al netto di caratteristiche individuali come età e titolo di studio: una differenza che viene ricondotta principalmente al diverso attaccamento al mercato del lavoro di donne e uomini. Le donne, infatti, sperimentano con più probabilità rispetto agli uomini percorsi lavorativi interrotti per via dei compiti di cura e ricevono salari più bassi in parte perché sovra-rappresentate nel lavoro part-time e a tempo determinato: dinamiche, queste, che contribuiscono a rendimenti pensionistici inferiori per le donne e in alcuni casi al mancato raggiungimento dei requisiti minimi di accesso.

Ma il Gpg è davvero spiegato unicamente dal fatto che uomini e donne sperimentano percorsi lavorativi differenti? La risposta breve è “non solo”. Proveremo a sviluppare la risposta lunga di seguito.

Prendere sul serio il corso di vita per studiare le disuguaglianze di genere 

L’approccio del corso di vita suggerisce che per condurre un’analisi genuinamente gender-sensitive, come quella cui dovremmo tendere studiando il Gpg, sia necessario considerare l’interazione delle traiettorie lavorative e quelle familiari lungo tutto il corso di vita, proprio in virtù del persistente squilibrio di genere nei compiti di cura. Questo squilibrio ha delle conseguenze sull’effettiva possibilità per le donne di partecipare al mercato del lavoro costruendo traiettorie lavorative che non solo le rendano autonome quando sono attive ma diano anche accesso a trattamenti pensionistici dignitosi.

In una ricerca comparativa su Italia e Germania, Carla Rowold (Max-Planch Institute for Demographic Research), Emanuela Struffolino (Università di Milano) e Anette E. Fasang (Humboldt-Universität zu Berlin) hanno studiato in che misura l’interazione tra traiettorie familiari e lavorative lungo tutto il corso di vita contribuisce al divario di genere nel trattamento pensionistico. Per ciascun individuo sono state ricostruiti dai 18 ai 65 anni i percorsi familiari (in funzione dello stato civile e della presenza di uno o più figli) e quelli lavorativi (in base alla posizione dentro e fuori dal mercato del lavoro, distinguendo, ad esempio, tra lavoro part-time e full-time e l’occupazione nel settore pubblico). L’analisi dei corsi di vita dai 18 e 65 anni è stata possibile grazie alla disponibilità di dati longitudinali retrospettivi e prospettici dell’indagine SHARE-Survey on Health, Aging, and Retirement in Europe, che segue gli stessi individui nel tempo e raccoglie informazioni sul loro passato.

Germania e Italia si differenziano in molti domini di politiche di welfare e tuttavia sono accomunate da un GPG tra i più alti d’Europa: 48.8% e 46.9% rispettivamente. Sebbene i sistemi pensionistici non siano equivalenti, entrambi sono descritti come modelli particolarmente svantaggiosi per le donne: questo per via dello stretto legame tra salari e contributi accumulati, che si trasformano poi in più o meno generosi benefici pensionistici. In entrambi i contesti, infatti, una quota ingente di donne esce dal mercato del lavoro dopo la nascita del primo figlio e fa fatica a rientrare in posizioni full-time soprattutto a causa della scarsità di servizi per l’infanzia.

Tra segregazione e discriminazione: due meccanismi in azione

Lo studio ha approfondito il ruolo di due meccanismi che possono spiegare la relazione tra l’interazione di diversi corsi di vita familiare e lavorativa e il Gpg utilizzando l’analisi delle sequenze e tecniche di scomposizione.

Il primo meccanismo è legato alla segregazione delle donne in corsi di vita lavoro-famiglia che sono “ricompensati” in maniera diversa dai sistemi pensionistici: questo è il caso di contesti in cui il sistema pensionistico prevede un (alto) numero minimo di anni di contribuzione per accedere alla pensione e in cui le donne sperimentano traiettorie discontinue o escono dal mercato del lavoro (traiettoria lavorativa) dopo la nascita di un figlio (traiettoria familiare).

Il secondo meccanismo riguarda la potenziale discriminazione di un gruppo rispetto a un altro, anche quando donne e uomini hanno sperimentato corsi di vita familiare e lavorativa simili. Donne e uomini – in altre parole – ricevono “ricompense” sensibilmente diverse, nonostante abbiano maturato nel tempo la medesima esperienza sul mercato del lavoro e pur avendo compiuto le stesse scelte in ambito familiare.

I risultati mostrano che il divario di genere nelle pensioni è spiegato in larga parte dal primo meccanismo: il 32% del Gpg in Italia e il 27% in Germania è dunque dovuto dalla segregazione di genere dei corsi di vita lavoro-famiglia. In particolare, le donne hanno maggior probabilità di sperimentare traiettorie che combinano molti anni trascorsi svolgendo compiti di cura dovuti alla presenza di figli o parenti anziani e un conseguente scarso attaccamento al mercato del lavoro, che in molti casi impedisce loro di accedere alla pensione per mancanza di requisiti contributivi.

Rispetto all’effetto “segregazione”, l’effetto “discriminazione” ipotizzato dal secondo meccanismo è meno rilevante nello spiegare il Gpg. Solo – se così si può dire – il 5,8% del divario pensionistico di genere in Italia e il 4,2% nella Germania occidentale sono spiegati dal fatto che donne e uomini pur avendo sperimentato i medesimi corsi di vita lavoro-famiglia ricevono “ricompense” diverse, a svantaggio delle donne. In entrambi i paesi, ad esempio, l’interazione di una traiettoria familiare caratterizzata dall’essere in coppia per larga parte della vita adulta e aver avuto un figlio e una traiettoria lavorativa continuativa full-time nel settore privato è associata a un gap pensionistico (annuale) di 478 euro in Italia e di 518 euro in Germania.

Più donne al lavoro o più uomini che si fanno carico dei compiti di cura? 

I risultati di questa ricerca suggeriscono che riformare il sistema pensionistico potrebbe risultare poco efficace per diminuire il divario pensionistico di genere in Italia e in Germania in assenza di politiche che agiscano sulle disuguaglianze di genere nell’ambito della conciliazione tra lavoro e famiglia.

Le misure messe in atto nei due contesti per contrastare le disuguaglianze di genere nelle prestazioni pensionistiche, infatti – che in Italia aggiungono agli anni effettivamente versati in contributi dalle lavoratrici un massimo di 12 mesi in funzione del numero di figli che si hanno, per esempio –  sono residuali rispetto alla dimensione del Gpg per quei corsi di vita caratterizzati da lunghi periodi trascorsi occupate in lavoro di cura.ù

In altre parole, per agire sui meccanismi di segregazione e discriminazione che contribuiscono al Gpg è necessario agire su diversi fronti: da una parte abbattere le barriere che inibiscono l’accesso a corsi di vita lavoro-famiglia effettivamente valorizzati dal sistema pensionistico (incrementando ad esempio gli asili nido); dall’altra favorire una distribuzione delle responsabilità di cura più equilibrata tra uomini e donne, ad esempio istituendo un congedo parentale paritario e obbligatorio.

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