L’appuntamento è a Piazza Dante. Io sono arrivato per primo. La dottoressa Valeria Vittorini, psicologa, giunge poco dopo in bicicletta. È puntuale. Poi, andiamo subito al bar per le domande, le risposte e bere un caffè. Anche se la conosco da poco tempo ho sempre notato in lei un forte attaccamento alla sua professione.
Mi preme dirle subito che l’attività dello psicologo non è chiara a tutti, infatti, non di rado viene confusa con quella dello psichiatra. La invito, quindi a differenziare queste due figure: «Lo psicologo – risponde – si occupa dei processi cognitivi, del comportamento e degli stati affettivi. Egli cerca di promuovere il benessere psicologico della persona per un miglioramento del suo stile di vita. Lo psichiatra, invece, è un medico che per la cura dei disturbi mentali si avvale della possibilità di somministrare farmaci».
Per rendere completa la risposta, fa riferimento ad una terza figura professionale: «Oltre allo psicologo ed allo psichiatra è necessario aggiungere lo psicoterapeuta che può essere uno psicologo ma anche un medico. Quest’ultimo può prescrivere farmaci».
La figura dello psicologo l’ho sempre associata a quella del sacerdote del confessionale. Entrambi ascoltano. Poi, il sacerdote pronuncia sermoni e spesso parla di ‘vita eterna’, e alla fine i problemi sei costretto a risolverli da solo. Lo psicologo, invece, dopo averti ascoltato, è lì per aiutarti concretamente. Non è facile ma i buoni risultati spesso li ottiene. Infatti, non ho mai prestato ascolto ai luoghi comuni riguardanti la risoluzione di un malessere psicologico, come ad esempio ‘Bisogna farcela da soli’ oppure ‘È soltanto un brutto periodo, ma passerà’. Ho sempre creduto che la presenza dello psicologo fosse necessaria.
Però mi viene spontaneo chiedere alla dottoressa Vittorini perché diverse persone rifiutano le cure dello psicologo anche se gli viene consigliato dal loro medico di fiducia. «Anzitutto – dice – c’è molta disinformazione riguardo all’operato dello psicologo. Inoltre, ci sono diversi pregiudizi su questa figura professionale. Molti credono che egli possa manipolare la mente dell’assistito, addirittura ‘spersonalizzandolo’. Ma, non è così. Lo psicologo cerca di migliorare la qualità di vita del suo paziente. Spesso ci sono delle resistenze, dei veri ‘meccanismi di difesa’ da parte dell’assistito, incredulo o scettico, che si innescano quando egli ricorre ad uno psicologo».
Poi, si ferma e aggiunge «Lo psicologo non è un mago o un santone. Ma, quando il paziente vuole realmente cambiare la sua situazione di disagio e si rivolge con convinzione a lui le possibilità di avere buoni risultati sono abbastanza elevate».
Le problematiche psicologiche legate al mondo del lavoro hanno conseguenze sociali ed economiche negative e spesso risultano devastanti per le persone che le vivono direttamente. Tali problematiche sono diverse ma è ormai da tempo che si parla molto spesso di mobbing.
Le azioni che attestano un caso di mobbing sono rappresentate, generalmente, da forme di angherie, compiute sul posto di lavoro, da una o più persone, nei confronti dell’individuo più debole, in modo sistematico, continuo e per un tempo prolungato, attraverso umiliazioni pubbliche, ostracismo nonché la diffusione di notizie false. Esse hanno un intento persecutorio e recano danni morali, psicologici e fisici al soggetto mobbizzato. Quando le chiedo di parlarmi del mobbing, la dottoressa Vittorini, inizia con un esempio di interdisciplinarità: «I primi studi sul mobbing sono riconducibili all’etologo Konrad Lorenz. Nel corso di studi naturalistici sul comportamento di alcuni uccelli, si accorse che uno stormo isolava un soggetto della stessa specie, escludendolo ed emarginandolo».
«Gli studi di Lorenz, – continua – rapportati alla specie umana, indicano un atteggiamento arrogante, persecutorio e violento, psicologico o perfino fisico, che avviene, in ambito lavorativo, nei confronti di una persona che risulta isolata».
Le chiedo se lo psicologo riesce ad intervenire sulle sofferenze delle persone che hanno subito mobbing. «Lo psicologo, – dice – seguendo il suo protocollo, all’inizio esegue un colloquio e poi somministra dei test al paziente per valutare la personalità e lo stress lavorativo. Dopo aver raccolto una serie di dati effettua una valutazione di tipo psicodiagnostico».
Conclude, dicendo: «Spesso le persone che vengono da un vissuto o da un’esperienza di mobbing vivono una condizione di disturbo da stress post-traumatico fortissima. Basti pensare che il paziente mobbizzato, non solo è stato sottoposto ad una serie di umiliazioni, ma ha anche temuto per la propria incolumità. Quindi esce da un’esperienza di terrore psicologico e fisica vissuta all’interno del proprio ambito lavorativo. Lo psicologo dovrebbe intervenire proprio su questo terrore».
Intellettuali ed autorevoli organi di informazione danno ampio spazio, ed è giusto che sia così, alle problematiche giovanili. I ragazzi crescono con Internet ed i Social. Inoltre, sono stati costretti a restare chiusi in casa nel periodo del Covid anziché rapportarsi, socializzare e crescere. Proprio a causa del lockdown molti di loro, forse, stanno vivendo dei disagi che vanno ad associarsi alle problematiche solitamente esistenti.
Chiedo alla dottoressa Vittorini di dirmi qualcosa sui problemi psicologici che in questo periodo stanno vivendo i ragazzi: «Avendo avuto un’esperienza scolastica – dice – con molti ragazzi che si sono rivolti a me per godere di un supporto, grazie allo ‘Sportello d’ascolto’, posso tranquillamente affermare che i loro problemi più frequenti sono legati all’ansia ed al bullismo, aumentati a seguito del lockdown».
Questo periodo, quindi, è stato determinante per l’incremento dei fenomeni di ansia e bullismo in ambito scolastico, evidenziati non soltanto dagli psicologi ma, certamente, anche dai docenti. «A seguito di questo periodo di ‘clausura forzata’ – continua – i ragazzi non sono più riusciti ad avere, ahimè, relazioni interpersonali come le avevano in precedenza, infatti, il bullismo è da annoverare tra i problemi di tipo relazionale. Il ‘bullo’, infatti, ha difficoltà nel rapportarsi con i propri coetanei. In particolare, le relazioni interpersonali sono determinanti per la crescita degli adolescenti che hanno bisogno di confrontarsi con i pari, staccandosi dalle figure di riferimento, rappresentate dai genitori. Dopo il lockdown i rapporti con i pari sembrano diventati più difficili e possono sfociano in episodi di bullismo che risulta, anche, motivo di dispersione scolastica».
Quando le domando se tra i ragazzi ci sono delle differenze fra le problematiche psicologiche maschili e femminili, risponde: «Poiché il sesso oggi è vissuto liberamente dai giovanissimi, e loro ne parlano senza alcun tabù, mi è capitato di incontrare, durante la mia attività nelle scuole, alcuni ragazzi e ragazze, con difficoltà nel riconoscere il proprio sesso. In questi casi vivono un momento di ‘transizione’ e cercano di capire, con l’aiuto dello psicologo, se esiste in loro una ‘disforia di genere’ che gli fa avere caratteristiche tipiche del sesso opposto».
Il fatto accaduto qualche giorno fa, ad Abbiategrasso, nell’hinterland di Milano, è raccapricciante. La docente, Elisabetta Condò, che insegna materie letterarie in una Scuola secondaria di secondo grado, è stata accoltellata da un suo alunno. Per la dottoressa Vittorini: «È un fatto gravissimo!», e aggiunge: «Gli organi di informazione, per fortuna, hanno dato ampio spazio all’accaduto. Il mio Ordine Professionale, quello della Campania, già da tempo ha sotto osservazione soprattutto i fatti di violenza perpetrati da adolescenti. Tale situazione ci induce ad affermare che ‘Siamo in emergenza’».
Continuando a rispondere, sposta la sua attenzione sulla figura dello psicologo in ambito scolastico: «Alla luce dell’accaduto di Abbiategrasso, ma anche su altri fatti registrati nelle scuole, seppur di minore gravità, ritengo che lo psicologo sia necessario per tutte le fasce d’insegnamento. In futuro non dovrà essere più la scuola a decidere se gli studenti godranno della sua assistenza. Credo che sia necessario cambiare: con precise leggi dello stato, la figura dello psicologo dovrà essere presente in tutte le scuole, allo stesso modo dei docenti, per capire il disagio giovanile e prevenire fatti come quello di Abbiategrasso. Gli psicologi riuscirebbero a sentire il ‘grido d’allarme’ proveniente dal mondo giovanile. Comunque, mi sembra importante nuovamente evidenziare che dopo il lockdown anche i rapporti tra gli adolescenti e gli adulti sono diventati più difficili».
Nel corso delle sue risposte la dottoressa Vittorini ha evidenziato che quel lungo periodo di isolamento trascorso in casa dai ragazzi è stato dannoso per la loro crescita, alterandone le loro capacità relazionali, con spiacevoli conseguenze.
Ritornando al fatto di Abbiategrasso, dice: «Autorevoli quotidiani riportano che, probabilmente, il ragazzo fosse affetto da un grave problema psichico che lo avrebbe spinto a commettere un terribile atto di violenza».
Alla luce delle ultime affermazioni della Dottoressa Vittorini, mi sembra opportuno chiedermi: se nella scuola di Abbiategrasso ci fosse stata la presenza costante dello psicologo, attento al disagio del giovane aggressore, sarebbe accaduto il fatto di sangue?
Fonte: blog Asterisco 2.0
Michele Di Gerio