L’economia è in ripresa ma la sua fragilità latente permane

Da qualche mese le previsioni del tasso di crescita del prodotto interno lordo sono state riviste costantemente al rialzo e si attestano oggi intorno al 1,5% per il 2017. E’ evidente che l’economia italiana è riuscita ad agganciarsi alla ripresa globale e gli scenari peggiori sembrano essere stati scongiurati. Tuttavia è una ripresa congiunturale in quanto la fragilità permane e sarebbe un errore abbassare la guardia. Pur tuttavia la crescita potenziale è stabile. L’Italia dopo trent’anni di crescita potenziale stabile allineata con i maggiori partner europei, ha iniziato dagli anni Novanta un periodo di lento declino a cui si è aggiunto l’effetto della grande crisi che ha avuto come conseguenza la distruzione di capitale umano e industriale che necessariamente ricostruito. Per capire a fondo il problema della crescita potenziale è necessario individuare le cause di rallentamento strutturale degli ultimi trent’anni. In entrambi i casi si è assistito ad un rallentamento della produttività del lavoro dovuta ad una scarsa accumulazione di capitale, al deterioramento della sua qualità in termini di innovazione e ad una scarsa efficienza generale del sistema. Si ha bisogno,quindi, non solo di investimenti e di maggiore flessibilità del lavoro, ma anche di migliorare la capacità di innovazione, l’imprenditorialità, l’efficienza delle istituzioni e la qualità del lavoro e del capitale. Occorrono investimenti, innovazione e soprattutto un migliore sistema innovativo. Secondo l’Ocse l’Italia ha il più basso numero di iscritti all’Università tra i Paesi avanzati, il più basso numero di laureati, un’alta percentuale di laureati senza lavoro, circa un terzo di giovani tra i venti e i ventiquattro anni che né studiano, né lavorano. Il tutto acuito da una diminuzione di spesa nel settore educativo di circa il 14% negli ultimi 5 anni. Produttività e capitale umano sono interdipendenti. Per essere in grado di formare una forza lavoro capace di operare in un’economia dinamica occorre un programma di innovazione e qualificazione del nostro sistema educativo, che vada dalla scuola fino all’università. Se l’obiettivo è tornare a crescere in media del 2%, cioè ai ritmi degli anni Settanta fino agli inizi degli anni Novanta, occorre un’operazione di grande discontinuità. La congiuntura favorevole non basta né i piccoli ritocchi sono sufficienti ad una crescita strutturalmente stabile. Occorre un piano pluriennale i cui pilastri si reggano sulla complementarità tra investimenti e sistema educativo.

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