In questi giorni, e per quelli a venire, la discussione politica sarà incentrata sul problema della legge elettorale da dare all’Italia. La legge elettorale è un elemento importantissimo non solo per la gestione della cosa pubblica, ma anche per la crescita politica di una comunità, vero collegamento tra società civile e rappresentanza politica. Quindi, ci si augura che si faccia posto ad un realismo che non pregiudichi la prerogativa costituzionale. In Italia, fino al 1993, abbiamo votato con il sistema proporzionale, espressione e trasposizione delle molteplici anime che avevano trovato incontro ed equilibrio nella stesura della Costituzione. Quel sistema in realtà, nell’impossibilità dell’alternanza, ha consentito ai partiti di spartirsi lo Stato, ribadendo la volontà di un mutuo controllo. Tutto era frutto di un contratto tra le forze politiche, lasciando fuori la società civile, fatto salvo che fosse provvisto di una ‘tessera’. Negli anni 90 si arrivò al Matterellum, concepito dall’attuale presidente della repubblica, Sergio Mattarella, ideato per uscire dalla frammentazione partitica ma, in realtà, nato per promuovere una competizione bipolare. La frammentazione partitica in realtà non riuscì, come ben dice la quota del 25% di proporzionale che i partiti hanno voluto lasciare. Del Porcellum conosciamo gli effetti dannosi dovuti alla scarsa qualità della rappresentanza politica. Rappresentanza politica che era legata alla cordata giusta per la futura elezione. Elezione legata, ovviamente, alle segreterie di partito. Oggi è necessaria la snellezza decisionale legata alla trasparenza slegata dalla partitocrazia colonizzatrice, senza però generare populismi che legano il loro successo allo scontento dei cittadini. Si tratta di rianimare una società civile che è stata sempre relegata ai margini. Non si tratta solo di riattivare lo Stato, ma di come rianimare una società civile stanca di sentirsi sempre ai margini. Il futuro di una democrazia passa inesorabilmente da qui, e la legge elettorale, in questo, svolgerà un ruolo fondamentale. Mentre l’Italia della politica si divide sulla durata governo e sulle elezioni promettendo grandi mobilitazioni per costringere Paolo Gentiloni a fare in fretta le valigie, come la manifestazione che Beppe Grillo ha annunciato entro il prossimo 24 gennaio, il Paese reale deve fare i conti con problemi decisamente più urgenti, come ad esempio, i licenziamenti, che crescono. Secondo le rilevazioni del ministero del lavoro nel terzo trimestre del 2016 i licenziamenti individuali e collettivi sono stati 227.358 con un aumento del 10,8% (+22.213) sullo stesso periodo del 2015. In questi giorni di manovre quirinalizie e post-quirinalizie è risuonato numerose volte un sostantivo: legittimità. A evocarlo in continuazione sono stati i rappresentanti della Lega Nord e quelli del Movimento 5 stelle. E così si è parlato di Parlamento illegittimo relativamente alla realizzazione di una nuova legge elettorale, e di un governo Gentiloni illegittimo perché non riconosciuto in qualche maniera dal popolo. Tutte le opinioni sono rispettabili, ma in questo caso bisognerebbe attenersi a quel che racconta la Costituzione che è stata confermata lo scorso 4 dicembre. E da questo punto di vista il riferimento seriale alla legittimità, o illegittimità, appare inconsistente. E’ utile, invece, nella propaganda politica disinformata e disinformante. Il Movimento 5 stelle ha percorso le piazze d’Italia per sostenere la validità della Costituzione, ma hanno dimostrato di avere di essa una conoscenza superficiale. Prendiamo Luigi Di Maio che vuole andare al voto con l’Italicum che uscirà dalla sentenza della Consulta per provvedere solo in una fase successiva alla elaborazione della nuova legge elettorale con un Parlamento eletto dal popolo. E perché il Parlamento di cui lui faceva parte, in veste di vice-presidente dell’assemblea di Montecitorio non è figlio di una consultazione popolare? Chi è che ha deciso, Grillo e Casaleggio a parte, di spedire lui e i suoi numerosi colleghi su quegli scranni? C’era o non c’era il suo nome e quello dei suoi compagni di avventura politica nelle liste sulla cui base 35 milioni 270 mila 926 italiani manifestarono le loro preferenze gratificando il Movimento 5 stelle con un confortante 25,56 per cento? Il presidente della Repubblica, sentiti i loro presidenti, non ha deciso di sciogliere le camere (articolo 88 della Costituzione, secondo comma), allora siamo indotti a pensare che sia ancora funzionante un Parlamento regolarmente eletto il 24 febbraio del 2013. Dunque, assemblee che possono tranquillamente legiferare. Possono farlo anche se sono state elette sulla base di una legge, nel frattempo dichiarata incostituzionale, perché è stata la stessa Consulta a sottolineare che la sua decisione non produceva alcuna menomazione nei poteri del Parlamento in carica. Un’altra questione sollevata da Di Maio riguarda la ‘legittimità’ del governo. Ebbene la legittimità non la decide né Grillo, né il collegio dei probiviri del Movimento 5 stelle, perché la legittimità è determinata dalla legge e, ancora una volta, dalla Costituzione. Che Matteo Renzi sia stato chiamato a guidare un esecutivo ci dice che da nessuna parte nel nostro ordinamento è rinvenibile una norma che lo vieti. E va chiarito che nel nostro Paese non è stata ancora introdotta l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La costituzione si pone al di sopra di una norma ordinaria e nella Carta al secondo comma dell’articolo 92 si legge: ‘Il Presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri’. Norma che va evidentemente interpretata anche sulla base del secondo comma dell’articolo 1 in cui si afferma: ‘La sovranità popolare appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’. Dunque Mattarella non è fuori dalla Costituzione perché tra le ‘forme’ in cui si esercita la sovranità popolare non rientra quella di nominare il presidente del consiglio che, al contrario, rientra chiaramente nei poteri del Capo dello Stato. Gentiloni può piacere, o non piacere, ma non è figlio di un colpo di Stato. Il Movimento 5 stelle si candida a governare, ma la prima legittimazione di un soggetto governante si basa proprio sull’accettazione delle regole, anche quando siano, dal punto di vista degli interessi di parte, chiaramente sfavorevoli. Il rilancio effettuato alcuni giorni fa da Alessandro Di Battista, che in una intervista a ‘Die Welt’, a proposito del referendum sull’euro, ha evidenziato la sua disinformazione. L’istituto del referendum è disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione che a larga maggioranza gli italiani hanno confermato nella sua forma attuale il 4 dicembre. Purtroppo non tutti la conoscono nei reconditi dettagli, come non la conosce il pentastellato Di Battista, che l’ha difesa sulle piazze, se afferma che quella Carta fu approvata a suffragio universale quando, al contrario, venne varata con voti successivi, e un voto conclusivo dell’assemblea costituente, quella sì eletta a suffragio universale. L’articolo 75 è composto da cinque commi. E se il primo indica i modi per indire un referendum, il secondo spiega quali leggi non possono essere sottoposte al vaglio popolare. Recita: ‘Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali’. L’euro è stato introdotto sulla base della firma di un trattato internazionale regolarmente ratificato. Pertanto, la nostra adesione all’attuale sistema monetario non può essere sottoposta a referendum abrogativo. Il Movimento 5 stelle ha percorso le piazze d’Italia per sostenere la validità della Costituzione, ma hanno dimostrato di avere di essa una conoscenza superficiale. Prendiamo Luigi Di Maio che vuole andare al voto con l’Italicum che uscirà dalla sentenza della Consulta per provvedere solo in una fase successiva alla elaborazione della nuova legge elettorale con un Parlamento eletto dal popolo. E perché il Parlamento di cui lui ha fatto parte, in veste di vice-presidente dell’assemblea di Montecitorio non è figlio di una consultazione popolare? Chi è che ha deciso, Grillo e Casaleggio a parte, di spedire lui e i suoi numerosi colleghi su quegli scranni? C’era o non c’era il suo nome e quello dei suoi compagni di avventura politica nelle liste sulla cui base 35 milioni 270 mila 926 italiani manifestarono le loro preferenze gratificando il Movimento 5 stelle con un confortante 25,56 per cento? Il presidente della Repubblica, sentiti i loro presidenti, non ha deciso di sciogliere le camere (articolo 88 della Costituzione, secondo comma), allora siamo indotti a pensare che sia ancora funzionante un Parlamento regolarmente eletto il 24 febbraio del 2013. Dunque, assemblee che possono tranquillamente legiferare. Possono farlo anche se sono state elette sulla base di una legge nel frattempo dichiarata incostituzionale perché è stata la stessa Consulta a sottolineare che la sua decisione non produceva alcuna menomazione nei poteri del Parlamento in carica. Un’altra questione sollevata da Di Maio riguarda la ‘legittimità’ del governo. Ebbene la legittimità non la decide né Grillo, né il collegio dei probiviri del Movimento 5 stelle, perché la legittimità è determinata dalla legge e, ancora una volta, dalla Costituzione. Il fatto che Matteo Renzi sia stato chiamato a guidare un esecutivo, c’è il fatto che da nessuna parte nel nostro ordinamento è rinvenibile una norma, un comma, un codicillo che lo vieti. E va chiarito che nel nostro Paese non è stata ancora introdotta l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La costituzione si pone al di sopra di una norma ordinaria, e nella Carta al secondo comma dell’articolo 92 si legge: ‘Il Presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri’. Norma che va evidentemente interpretata anche sulla base del secondo comma dell’articolo 1 in cui si afferma: ‘La sovranità popolare appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’. Dunque Mattarella non è fuori dalla Costituzione perché tra le ‘forme’ in cui si esercita la sovranità popolare non rientra quella di nominare il presidente del consiglio che, al contrario, rientra chiaramente nei poteri del Capo dello Stato. Gentiloni può piacere, o non piacere, ma non è figlio di un colpo di Stato. Il Movimento 5 stelle si candida notoriamente a governare ma la prima legittimazione di un soggetto governante si basa proprio sull’accettazione delle regole, anche quando siano, dal punto di vista degli interessi di parte, chiaramente sfavorevoli. Il rilancio effettuato alcuni giorni fa da Alessandro Di Battista, che in una intervista a ‘Die Welt’, a proposito del referendum sull’euro ha evidenziato la sua disinformazione. L’istituto del referendum è disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione che a larga maggioranza gli italiani hanno confermato nella sua forma attuale il 4 dicembre. Purtroppo non tutti la conoscono nei più reconditi dettagli, come non la conosce il pentastellato Di Battista, che l’ha difesa sulle piazze, anche con disprezzo della verità storica, se afferma che quella Carta fu approvata a suffragio universale quando, al contrario, venne varata con voti successivi e un voto conclusivo dell’assemblea costituente, quella sì eletta a suffragio universale. L’articolo 75 è composto da cinque commi. E se il primo indica i modi per indire un referendum, il secondo spiega quali leggi non possono essere sottoposte al vaglio popolare. Recita: ‘Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali’. L’euro è stato introdotto sulla base della firma di un trattato internazionale regolarmente ratificato. Pertanto, la nostra adesione all’attuale sistema monetario non può essere sottoposta a referendum abrogativo. In conclusione, si spera che si possa arrivare ad una dialettica politica, culturale e sociale, che rifugga dagli interessi di parte e possa realmente rappresentare le realtà degli ‘scontenti’.
Roberto Cristiano