Legge elettorale e venti di crisi

La legge elettorale viene varata con una provvedimento ordinario e non con uno costituzionale. Ciò non toglie che si possa definire una legge istituzionale: non definisce le regole del gioco democratico, ma assicura il loro corretto funzionamento. In un paese civile su un tema come questo si discute seriamente e si cerca una intesa molto ampia perché quel meccanismo non deve sfavorire nessuno perché pensare di piegarlo a proprio vantaggio può, poi, nel tempo, determinare una situazione di svantaggio. In Italia negli ultimi anni tutti i partiti o le coalizioni di maggioranza hanno messo a punto leggi elettorali nell’intento di utilizzarle in funzione dei propri interessi: lo ha fatto Silvio Berlusconi con il Porcellum (cancellato dalla Corte Costituzionale), lo ha fatto Matteo Renzi con l’Italicum (cancellato dalla Corte costituzionale e, sostanzialmente, da un referendum costituzionale). Alla resa dei conti, la legge elettorale che ha retto per l’arco più ampio di tempo è stata quella proporzionale partorita subito dopo la guerra e il motivo di questa sua relativa longevità va cercato proprio nel fatto che fu il risultato di un accordo ampio.

In questo momento la presidenza della commissione Affari Costituzionali del Senato, poltrona lasciata vuota da Anna Finocchiaro emigrata al governo, destinata al dem Giorgio Pagliari ma finita a  Salvatore Torrisi. Accordi traditi con la complicità di un bel pezzo di maggioranza.

 Alfano ha chiesto a Torrisi un passo indietro per ripristinare la solidarietà di maggioranza. Ma il fatto reale è che in questa vicenda non c’è nulla di serio. I partiti  avrebbero dovuto fornire una prova di maturità politica cercando di guardare, per una volta, al di là del loro orticello  elettorale ma non lo hanno voluto fare, ognuno ha continuato ad arare il proprio campo nella speranza di poter ottenere l’utile personale più cospicuo.

Torrisi  ha presieduto la seduta della prima commissione del senato. Come negli ultimi quattro mesi, ma stavolta avendone pieno titolo. Non si è dimesso, malgrado il leader del suo partito glielo abbia chiesto ufficialmente. Mettendolo di fronte a un’alternativa secca. Rinunciare all’incarico al quale mercoledì lo aveva eletto la commissione, con il voto segreto della minoranza e la partecipazione di quattro franchi tiratori di maggioranza, probabilmente anche del Pd, o finire fuori dal partito. Torrisi ha definito la richiesta ‘inconcepibile’ e  Alfano ha dovuto dichiarare che ‘il senatore non rappresenta più Alternativa popolare’. Una rinuncia che è un gesto di fedeltà a Matteo Renzi.

Più comprensibile l’aplomb di Torrisi, che si è detto disponibile al passo indietro ‘solo se il Pd ha una soluzione alternativa condivisa’.

Il Pd non ce l’ha, come non l’ha avuta negli ultimi quattro mesi, da quando Anna Finocchiaro ha lasciato la presidenza per andare al governo. Però Renzi sa bene come la guida della commissione affari costituzionali del senato sia postazione cruciale per fare la nuova legge elettorale, o per non farla.

Per l’uscente segretario Pd il sistema elettorale in vigore,  quello che mette insieme due leggi ritagliate dalla Corte costituzionale, l’Italicum decapitato della camera e il Porcellum monco del senato,  è in realtà un sistema buono perché consente di ricostruire il gruppo Pd a sua immagine a somiglianza grazie alle pluricandidature e alle liste bloccate a Montecitorio.

Così lo stallo è responsabilità innanzitutto del primo partito, consapevole che quando si avvicinerà lo scioglimento delle Camere gli interventi di ritocco potranno essere minimi e risparmieranno gli elementi che più interessano al capo partito.

Se non potrà avere una vittoria netta e il controllo del parlamento,  perchè dovrebbe raggiungere l’impossibile 40%,  Renzi potrà almeno consolidare il controllo del partito. Si tratterà al massimo di ‘armonizzare’ le soglie tra Camera e Senato, magari alzando un po’ quella della Camera,  oggi al 3%.

La legge elettorale  è ancora in commissione a Montecitorio, dove in attesa della fine del congresso Pd l’unica cosa che si potrà fare,  il 12 aprile,   sarà una conta per vedere quale proposta ha più voti.

Dovrebbe vincere il Mattarellum, la proposta ufficiale del Pd che convince ormai solo la Lega. Servirà a poco, visto che la legge andrà approvata nell’aula della Camera e poi del Senato. Il bicameralismo è ancora in piedi.

Risultato: probabilmente andremo a votare con una legge improponibile che ci porteremo dietro sino a quando qualcuno, sentendosi più forte degli altri, proverà a imporne una tutta nuova e a lui più favorevole. L’ingovernabilità del Paese è garantita: risultato amaro di un gioco al massacro che squalifica chi oggi vi sta partecipando.

Cocis

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