Potrebbe chiudersi in mattinata l’assemblea del Pd che oggi incoronerà Enrico Letta nuovo segretario Pd. L’appuntamento riunirà un migliaio di delegati, tutti collegati in videoconferenza.
I lavori saranno aperti alle 9.30 dal presidente del Pd, Valentina Cuppi, con un intervento e la comunicazione delle dimissioni di Nicola Zingaretti. L’assemblea verrà quindi sospesa per circa un’ora e mezza, per la sottoscrizione delle candidature alla segreteria: ci sarà solo quella di Enrico Letta. I lavori riprenderanno attorno a mezzogiorno, con l’intervento di Enrico Letta. Al termine partirà la votazione che, essendo elettronica, dovrebbe essere piuttosto veloce. Intorno all’una e mezza potrebbe quindi già esserci la proclamazione di Letta segretario. L’altro punto all’ordine del giorno riguarda la ratifica di Walter Verini tesoriere del partito.
“A pensare e appuntarmi quel che dirò all’assemblea Pd. Per chi vuole seguire parlo domani h11.45 #iocisonoPD”, ha scritto su Twitter Enrico Letta, pubblicando una foto che lo ritrae davanti a un computer a scrivere il discorso che pronuncerà domattina, in collegamento dal Nazareno con i delegati dell’assemblea Pd.
Visita a sorpresa per Enrico Letta al Circolo dem di Testaccio, suo quartiere a Roma. I militanti, a cui aveva promesso una visita, lo hanno accolto con uno striscione con scritto “Daje Enrì, ripiamose sti cocci” sotto il quale Letta si è fatto fotografare. Ieri, intervenendo in diretta a Propaganda Live su La7, Letta aveva scherzato sui motivi della sua candidatura: “C’erano dei cocci… Noi ‘vasi’ cosa dobbiamo fare, ci occupiamo dei nostri confratelli cocci”.
“Lo faccio per amore della politica e passione per i valori democratici”, ha detto. “Voglio ringraziare Nicola Zingaretti, mi lega a lui profonda amicizia e grande sintonia”.
“Io non cerco l’unanimità, io cerco la verità nei rapporti fra di noi per uscire dalla crisi e guardare lontano. Aprirò un dibattito in tutti i circoli”.
“Parlerò all’assemblea, io credo alla forza della parola, al valore della parola, chiedo a tutti coloro che domenica voteranno di ascoltare la mia parola e di votare sulla base delle mie parole. Sapendo che io non cerco l’unità, io cerco la verità nei rapporti fra di noi per uscire da questa crisi e guardare lontano”, ha aggiunto Letta. “Aprirò, sulla base di quelle parole, il dibattito in tutti i circoli. Chiedo alle democratiche ai democratici, nelle prossime due settimane, di discutere nelle modalità in cui questo oggi è possibile. Poi faremo insieme sintesi e troveremo le idee migliori per andare avanti, insieme”.
“Anche i sindaci dem sostengono Letta, è la figura giusta per far ripartire partito” “Anche i sindaci dem sostengono Enrico Letta, è la figura giusta, forte e autorevole per far ripartire il partito, uniti e con i sindaci protagonisti”. Così Matteo Ricci, responsabile Enti Locali del Pd e Presidente di Ali.
L’arrivo di Enrico Letta alla segreteria del Partito democratico potrebbe ribaltare qualsiasi pronostico e mischiare le carte in tavola per la corsa al Quirinale. Pare, infatti, che Letta abbia accettato di tornare in trincea nel Pd solo a patto di essere tenuto in considerazione per la poltrona del colle più alto di Roma. “Nel totonomi che rimbalza di segreteria in segreteria, di chat in chat, se ne aggiunge subito un altro tra i papabili ed è proprio quello di Enrico Letta: tra i bene informati si sostiene sia stata una delle condizioni poste riservatamente per il suo ritorno in Italia”.
Zingaretti arriva alla guida del Pd dopo che i pozzi sono stati avvelenati. Non c’è riforma della sinistra italiana senza una analisi delle trasformazioni di questi anni, sul perché una larga parte della società si è affidata alle sirene che comodamente e frettolosamente sono state definite populiste. Populismo che, tra l’altro, è entrato direttamente in casa quando si è teorizzata una sinistra depurata dal peso dei corpi intermedi, una politica che segue l’opinione pubblica anziché provare a indirizzarla, l’elogio del nuovismo come unica strada per sbloccare il sistema. Sarebbe stata necessaria una rifondazione più forte: se è vero che siamo davanti a un cambio di stagione che riapre il nodo di un nuovo compromesso con il capitalismo finanziario dopo la battuta d’arresto del modello sociale europeo.
L’uscita di Nicola Zingaretti rappresenta un problema per tutto il campo, un arretramento simbolico che fa il paio con la sconfitta del governo Conte.
Per questo, al di là delle improvvise dimissioni di Nicola Zingaretti, è inevitabile che nel Pd si avvii una verifica sulla funzione che questo partito dovrà svolgere nei prossimi mesi e anni, come anche una discussione sull’idea di Paese nel dopo pandemia. L’emergenza sanitaria, e quella economica e sociale, se da un lato hanno reso più evidenti i ritardi e acuito divari e disuguaglianze, dall’altro hanno però accelerato enormemente un processo di trasformazione dei modelli sociali di lavoro, di produzione, di cura che era già avviato, ma dentro il quale ora siamo definitivamente calati. Proporre un’agenda per rispondere a questi mutamenti sarà ancora più doveroso, nel momento in cui la parentesi di questa maggioranza da fronte nazionale si chiuderà.
Per questo, il Partito Democratico non può rinunciare ai propri connotati originari di forza riformista e popolare, punto di riferimento per il campo progressista. Al più presto deve tornare a declinare l’unità di tutti i riformismi italiani su cui è nato, offrendo insieme una direzione e una proposta riconoscibile per il futuro dei cittadini. Se questo progetto tarderà, o peggio imploderà, a pagarne lo scotto sarà innanzitutto l’azione dell’attuale governo, che ha tra le mani risorse e progetti da cui dipende il futuro delle prossime generazioni e dell’Italia stessa. Politiche per la transizione verde e digitale, parità di genere a partire da un piano per l’occupazione femminile, investimenti sulle politiche di cura: senza il Pd, su tutti questi temi, sarebbe molto più debole il profilo riformista del Governo.
La disponibilità di Enrico Letta a guidare questo percorso è una buona notizia, per la storia e l’autorevolezza che è in grado di esprimere. La sfida però, oggi, non è di un uomo solo, ma coinvolge tutti. Per uscire dalla crisi che il Pd sta vivendo la strada non è un finto unanimismo, ottenuto soltanto distribuendo posti di gestione e incarichi politici. Quello che è mancato, ancora una volta in queste ultime settimane, è stata la capacità, da parte di tutti, di rispettare e riconoscere posizioni diverse e legittime. In un partito plurale, come il Pd, la sintesi passa dal saper far coesistere opzioni anche distanti, più ancora che da una unità imposta sempre e per forza. Senza questo atteggiamento costruttivo attraverso il quale il Pd deve ritrovare il suo essere comunità di simpatizzanti, iscritti ed eletti, una casa comune il cui destino conti davvero più della somma delle diverse anime.
Il Pd soffre su interi territori e ha difficoltà ad attrarre le energie di giovani, donne e pezzi di società organizzata. È il segno che sul confronto tra idee politiche e culturali ha prevalso il correntismo, degenerazione contro cui si è schierato e dimesso Zingaretti. Troppe volte, però, questo travaglio irrisolto è stato aggirato; troppe volte ha prevalso il timore che convenisse non toccare equilibri sedimentati. E troppo spesso in questi anni è stato proposto un rinnovamento soltanto per restare uguali a prima.
Da oggi il Pd deve uscire con una guida autorevole, nel pieno delle funzioni, che sappia coinvolgere le forze motrici della società, che metta in campo categorie e modelli differenti, finora rimasti in secondo piano, per collocare il partito in una relazione nuova con la società, con le istituzioni dello Stato e con il governo.