Il presidente del Veneto lamenta che si critica per partito preso senza entrare nel merito. Qui ci si entra, e abbondantemente, e si avanza una proposta alternativa. Se Zaia avesse davvero voglia di discuterne.
Caro presidente Zaia, da un decennio leggo instancabilmente le sue quotidiane interviste ai maggiori media nazionali. Noto da sempre che lei non entra molto nel merito. Tuttavia, anche in una delle ultime, afferma, giustamente, che “bisogna avere il coraggio di dire la verità ai cittadini”. Oggi, su La Stampa, torna a incolpare i promotori del referendum sulla Legge Calderoli di “spaccare il Paese” per ragioni di contrapposizione politica.
Con rispetto e sincera stima, le propongo 10 spunti di riflessione per dare ai cittadini qualche informazione in più e, spero, per una discussione costruttiva.
L’Autonomia differenziata (AD) è un principio guida, non è un “prodotto finito”. Ha, per tanto, una amplissima gamma di possibili declinazioni istituzionali. Ignorarlo per accusare di strumentalità politica chi era e rimane favorevole all’AD come principio guida, ma oggi si oppone all’interpretazione estrema in campo, non aiuta a “dire la verità ai cittadini”. La verità è che la larghissima maggioranza di quanti si sono pronunciati e sono impegnati per l’abrogazione della Legge Calderoli non è contro l’AD, tantomeno è contro l’“Autonomia”, senza aggettivi, come lei è solito chiamare l’AD. Al contrario, rimane profondamente convinta del valore dell’art. 5 della Costituzione e del principio di sussidiarietà. Rimane convinta dell’utilità di differenziare le competenze legislative delle Regioni in stretto riferimento a specificità storiche, geografiche e culturali, come è avvenuto per le Regioni a Statuto Speciale (RSS), e in relazione a valutazioni di efficienza, misurate sulle economie di scala delle attività attribuite alla Regione in competenza legislativa esclusiva. La contrarietà è, invece, concentrata sull’interpretazione estrema dell’AD consentita, ahinoi, dalla revisione del Titolo V del 2001, confermata dalla Legge Calderoli e da lei e da qualche altro presidente di Regione concordata, il 25 Febbraio 2019, in pre-Intese con la ministra Stefani. Pre-Intese che, come lei ha ricordato alla presidente del Consiglio, rimangono in vita.
La contrarietà all’interpretazione estrema dell’AD non ha l’obiettivo di difendere lo status quo, insostenibile sul piano economico, sociale e di finanza pubblica. L’obiettivo è di evitare, anche per il Nord, l’aggravamento dei problemi conseguente al declassamento politico dell’Italia a “espressione geografica”. È finita la favola dell’Europa delle Regioni. L’Ue è retta dagli Stati nazionali. Quale peso politico può avere a Bruxelles e nelle relazioni internazionali un presidente del Consiglio senza il controllo legislativo sulle principali materie economiche, sociali, infrastrutturali? Anticipo possibile obiezione: Germania, Spagna, Austria, ecc. sono Stati federali e negoziano autorevolmente. Attenzione: noi saremmo, come per il premierato, un unicum nel globo terraqueo, poiché tutti gli Stati federali hanno una Camera delle autonomie territoriali per raccordare i livelli di governo sussidiari e dare flessibilità ai poteri legislativi regionali. Noi, invece, avremmo 21 Intese rigide, soggette al veto del Presidente della Regione per le modifiche.
La contrarietà all’interpretazione estrema dell’AD è motivata anche dall’obiettivo di difendere lavoratori e imprese del Nord: in particolare, dall’escalation di carichi burocratici (moltiplicazione delle normative da conoscere e dover adempiere per chi produce o vende in più Regioni), dall’inevitabile dumping regolativo e salariale interno; dai maggiori oneri per prestiti e mutui a causa dell’innalzamento dei tassi di interesse sui nostri Titoli di Stato, tirati su dagli effetti squilibranti delle compartecipazioni rigide delle Regioni ai tributi erariali (qui, per motivi di spazio, mi permetto di rinviare al mio L’Autonomia differenziata fa male anche al Nord, prefazione Pier Luigi Bersani, Castelvecchi editore).
La contrarietà all’interpretazione estrema dell’AD è motivata anche dall’obiettivo di salvaguardare autonomia amministrativa al nostro più prezioso livello di governo territoriale, protagonista istituzionale plurisecolare, in particolare al Nord: il Comune. Il centralismo regionale alimentato dall’interpretazione estrema dell’AD schiaccia il municipalismo: ad esempio, il trasferimento del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario a competenza legislativa esclusiva delle Regioni, senza neanche il presidio dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), consegna ciascun Comune all’arbitrio della maggioranza politica e del Presidente della Regione. In merito, lei certamente ha presente il documento approvato all’unanimità dall’Anci.
Tra i topoi delle sue interviste, ricorre una citazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, ci ricorda lei sempre, definì l’autonomia “un’assunzione di responsabilità”. Ovviamente, l’allora Capo dello Stato esprimeva un auspicio, totalmente condivisibile, dato che non vi era ancora alcuna traduzione legislativa del sacrosanto principio dell’autonomia. Tuttavia, la Legge Calderoli voluta dal governo Meloni contraddice in radice tale principio. Come lei ci insegna, l’assunzione di responsabilità è tale se, oltre alla responsabilità della spesa, il governo territoriale ha anche la responsabilità del prelievo delle entrate attraverso le quali la finanzia. Così, dovrebbe funzionare il federalismo. Qui, invece, facciamo il contrario. Archiviamo il federalismo fiscale e ci lanciamo su un altro unicum planetario poiché la Regione differenziata non ha alcuna responsabilità sulle risorse che spende: le entrate acquisite attraverso l’AD le derivano interamente da compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturati sul “suo” territorio. Sono, di fatto, trasferimenti predeterminati da una formula, favorevole, in media, al Nord e sfavorevole, in media, al Mezzogiorno. Per l’evidenza empirica, rinvio all’audizione della Banca d’Italia sul DdL Calderoli, alle analisi dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, ai dati riportati, tra gli altri dal prof. Massimo Bordignon. In sostanza, la Regione si prende, a seconda di quanto definito nell’Intesa negoziata con il governo centrale, una quota di Irpef, di Ires, di Iva a prescindere dall’efficienza nell’utilizzo. Anzi, poiché le basi imponibili delle principali imposte erariali compartecipate da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna crescono più della spesa corrente da finanziare, gli incentivi per esse piegano verso l’inefficienza e gli sprechi.
In conseguenza del punto precedente, dovrebbe essere chiaro che con la Legge Calderoli si generalizza il meccanismo di finanziamento delle Rss, tra le quali, come noto, vi sono anche un paio di grandi regioni meridionali le cui performance amministrative sono state piuttosto discutibili. In sintesi, non c’è alcun cambiamento di impianto, ma soltanto la sua estensione. Perché con lo stesso impianto di finanziamento, le altre regioni del sud dovrebbero raggiungere risultati migliori della Sicilia?
In Italia, non vige il centralismo. Abbiamo 5 Rss e, dal 2001, una estesa competenza legislativa, esclusiva (su tutte le materie non esplicitamente riservate allo Stato) e concorrente (su 20 materie rilevantissime), in capo alle Regioni. La Banca d’Italia, nella richiamata audizione definisce “particolarmente ampie” le competenze delle Rso. La “sua” AD consegnerebbe alle Regioni poteri maggiori di quelli oggi vigenti per le Rss (veda la richiesta di ulteriori materie formalizzata qualche settimana dal suo collega Massimiliano Fedriga presidente del Friuli-Venezia Giulia) e lo farebbe senza alcuna relazione con specificità territoriali e valutazioni di efficienza. Sempre la Banca d’Italia ha rilevato che nella legge Calderoli non è prevista “alcuna istruttoria per ciascuna materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), suffragata da un’analisi basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo – sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese”.
L’AD nella interpretazione estrema da lei rivendicata non è “un processo di decentramento”, ma di acquisizione di competenze legislative esclusive su materie riservate sempre agli Stati nazionali, anche federali, come “le norme generali sulla scuola”.
I Lep sono capisaldi del federalismo fiscale introdotto nel 2009, ma rimasto sulla carta. Per parametrare alle spese da sostenere i trasferimenti alle Ragioni (mascherati da compartecipazioni al gettito di tributi erariali) non è necessaria l’AD, è sufficiente l’autonomia simmetrica. Perché non diamo seguito a quest’ultima prima di avventurarci nell’AD, in particolare nell’AD estrema?
Infine, caro presidente, lei invita quanti “si sono messi in posa davanti ai fotografi per lanciare il referendum abrogativo a fare una proposta alternativa”. Le segnalo che gli stessi, proprio sull’AD, alcuni anni fa, hanno elaborato e poi raccolto le firme su un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare, comunicato alla presidenza del Senato il 1 Giugno 2023 (S. 764). Lo sa che i senatori della “sua” maggioranza lo hanno affossato senza nemmeno analizzarlo? In esso, frutto di un lungo lavoro coordinato dal prof. Massimo Villone, si prevedeva non la cancellazione dell’AD, ma, tra l’altro, di “riportare il riconoscimento dell’autonomia differenziata a una condizione effettivamente diversa e propria del territorio interessato, senza lesione dell’interesse di altre regioni”; si cancellava “la possibilità di autonomia differenziata oggi prevista nelle materie affidate alla potestà esclusiva dello Stato”; si recuperava, infine, “flessibilità, cancellando la natura pattizia e lasciando il legislatore statale libero di adeguare forme e condizioni particolari già riconosciute a esigenze diverse e sopravvenute che ne suggeriscano la revisione”. Perché, in una matura disponibilità bipartisan, non ripartiamo da qui?
Possiamo entrare nel merito, caro presidente?