Lettera di Vittorio Feltri a Papa Francesco sui migranti

Quando ho udito il discorso del Papa, poche ore orsono, a proposito dei migranti respinti in mare dopo aver ricevuto un goccio d’acqua, mi sono venuti i brividi lungo la schiena. Domanda: chi sono quei bastardi che trattano così povera gente disperata e in cerca di salvezza? Gli italiani? Ma quando mai? Da 15 anni, forse 20, soccorriamo migliaia di sfigati in procinto di annegare, li portiamo qui, li rifocilliamo, li ospitiamo come meglio possiamo in alberghi – spesati di tutto punto – e in altre strutture a costo di irritare al massimo i connazionali, e per tutto ringraziamento alcuni stranieri, insoddisfatti del vitto curato da Carlo Cracco, scaraventano i piatti colmi di cibo fuori dalla finestra. E Francesco, invece di lodarci e benedirci perché siamo ligi al Vangelo («dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati»), ci accusa di crudeltà. Abbiamo interpretato male le sue parole? Egli le rivolgeva a qualcun altro di nazionalità diversa dalla nostra? Non è escluso. Però occorre dire che il Pontefice si esprimeva in italiano e pronunciava il suo discorso severo da Roma, quindi come si fa a pensare che il monito non fosse diretto a noi? Nel qual caso avremmo l’obbligo di rammentargli che prima di aprire bocca converrebbe anche a lui schiacciare il pedale della prudenza. Già, caro Capo della Chiesa. Noi siamo più stanchi di essere accusati di razzismo che di impegnarci tutto il giorno e ogni dì a ripescare dalle acque orde di extracomunitari provenienti da ogni dove. Cosa dobbiamo fare di più di quanto abbiamo fatto e facciamo allo scopo di alleviare le sofferenze di coloro che fuggono dalle nazioni in cui vengono maltrattati? Offrire loro di alloggiare nella cameretta dei bambini nel trilocale acquistato con mutuo, le cui rate paghiamo con la bava alla bocca? Mettere a disposizione di essi l’appartamento al mare comprato dalla nonna con i risparmi di una vita? Se questo, Santità, è quanto ci chiede in segno di solidarietà nei confronti dei naufraghi che abbiamo trascinato a riva, sia chiaro. Il suo suggerimento consiste nell’invito a donare la nostra abitazione ai disgraziati del Terzo mondo? Ci consiglia di riparare in un camper in segno di cortesia per riservare un posto agli sfortunati? Ce lo dica fuori dai denti, eviti allusioni che ci inducono a sospettare che forse lei, con infinita bontà, si riferisse nel suo sermone agli italiani anziché agli spagnoli, o a gli australiani, adusi a sparare sui naviganti in pericolo onde impedirgli di invadere i propri Paesi. Precisi le sue intenzioni, caro Papa. Gli equivoci non giovano a nessuno semmai ingenerano sospetti. La informo, eminentissimo Francesco, che l’Italia è in bolletta e non ce la fa più a ospitare uomini e donne dell’Africa e dell’Asia; non ha siti dove ricoverarli; non ne ha uno decente da assegnare neppure ai nostri compatrioti, costretti a campare in auto, al caldo o al gelo, perché privi di un tetto. Non vorrei essere villano, ma le faccio presente che le curie di varie città (per esempio Milano, e anche Bergamo, che conosco perché vi sono nato) sono proprietarie di numerosi immobili di lusso vantaggiosamente affittati. La prego: li metta a disposizione dei profughi, dopo di che avrà titolo per dire a noi di fare altrettanto, ammesso che siamo abbastanza abbienti per competere con lei in fatto di patrimonio in mattoni. Facile dire ai cittadini: siate accoglienti coi derelitti. Più difficile, anche per i preti, esercitarsi nell’imitazione di Cristo. Sia fatta la volontà del Signore? Certo. Cominciate voi a farla. Noi ci siamo portati abbastanza avanti, fin troppo. Ultima prece, questa volta non diretta a lei, monsignor Bergoglio, ma ai governanti italiani. Desiderate realizzare le esortazioni del Papa? Bravi. Allora diteci come è necessario comportarsi. Avete un programma serio allo scopo di destinare una parte di Italia quale territorio idoneo a essere occupato da chi scappa dal proprio? Forza, non siate timidi. Propongo, per cominciare, che il primo luogo da invadere sia il vostro giardino fiorito, signori buonisti. Radunate in piazza di Spagna, a Roma, e in San Babila, a Milano, i disperati che giungeranno domani nella nostra patria; teneteli nei vostri sfarzosi quartieri. State sicuri che poi sarete imitati dal volgarissimo popolo. Vero, Francesco?

 

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