Durissima reazione del mondo della scuola alla nuova figura del prof esperto introdotta dal governo Draghi nel decreto Aiuti bis
Il mondo della scuola è in vacanza, ma nonostante questo è durissima la reazione degli insegnanti a una delle novità più interessanti approvate dal Consiglio dei ministri nel decreto Aiuti bis: si tratta della figura del cosiddetto docente esperto, che in pochi giorni è già stato oggetto di una levata di scudi potente e piuttosto mono-tono, nel senso che le voci discordanti sono davvero poche.
Quello del merito a scuola è un tabù, intoccabile a sinistra (ricordiamo la Buona scuola di Renzi…) e rischiosissimo a destra, perché lo scivolone verso l’idea della scuola-azienda è dietro l’angolo, e va respinto in tutti i modi. Tuttavia, ci permettiamo di dire, una seria riflessione sul concetto di qualità a scuola andrebbe messa sul tavolo.
In merito al docente esperto è stata lanciata una petizione online per chiederne subito l’abolizione. Una raccolta firme partita da Salvo Amato, leader del gruppo Facebook “Professione Insegnante”, che in poche ore ha ottenuto migliaia di consensi.
Ma vediamo le ragioni di buona parte degli insegnanti contro il nuovo “prof esperto”, che Amato definisce persino una “idea aberrante”, lontanissima – par di capire – dall’istituzione scuola, notoriamente avversa perlopiù a qualunque slancio di cambiamento.
Nella petizione vengono elencati i presunti motivi per cui il docente esperto andrebbe abolito. Prima di tutto – si legge – introduce un percorso formativo lungo della durata di ben 9 anni, alla fine del quale i docenti verrebbero selezionati. “Non è specificato come saranno selezionati i docenti tra tutti coloro i quali avranno ultimato il lungo percorso formativo. Di fronte a più docenti che avranno superato allo stesso modo tutto il lungo percorso formativo, come verrà effettuata (e da chi) la selezione dell’unico docente esperto della scuola?”, ci si chiede.
In realtà, nel decreto approvato si legge che i criteri saranno questi:
- la media del punteggio ottenuto nei 3 cicli formativi consecutivi per i quali si è ricevuta una valutazione positiva (chi ha la media più alta ottiene l’incarico)
- in caso di parità di punteggio, diventa prevalente la permanenza come docente di ruolo nella scuola presso la quale si è svolta la valutazione e, in subordine, l’esperienza professionale maturata nel corso dell’intera carriera, i titoli di studio posseduti e, dove necessario, i voti con cui sono stati conseguiti questi titoli.
Altro passaggio contestato dalla petizione anti-prof esperto è che limita a 8mila, uno per ogni istituto, il numero, “senza che sia stato specificato ciò di cui sarebbe esperto e quale sarebbe l’apporto innovativo per l’istituto in cui lavora, che di docenti in media ne conta oltre un centinaio”.
L’esperienza – a quanto si legge nel dl – è collegata al ciclo triennale indicato tra i requisiti: chi è più meritevole ottiene l’incarico. L’apporto per la scuola, viene da sé, è la presenza di persone capaci, interessate e motivate.
Punto numero tre, al docente esperto spetta un compenso aggiuntivo di 5.650 euro in un anno, 400 euro in più al mese, “ma nel 2033, senza rivalutazione e senza che sia reso strutturale in busta paga. Non si capisce la fretta per introdurre una figura del genere se gli effetti saranno eventualmente visibili nel 2033″.
A ciò verrebbe da rispondere che una tale e radicale novità ha bisogno di essere modellata e recepita. La “fretta” è collegata presumibilmente ai tempi del PNRR, che necessita di pianificazione, certezze e non improvvisazione.
E ancora: i percorsi formativi dovranno essere tutti a spese del docente interessato, dovranno essere affrontati in ore non lavorative e dovranno essere sottoposti al giudizio della Scuola di Alta Formazione della pubblica istruzione, “che di fatto – prosegue la petizione – non sarà una scuola, (non si occuperà di formazione) ma un tribunale che giudica i risultati ottenuti da chi si forma”.
Ma questo avviene in qualunque ambito lavorativo: qualunque professionista, soprattutto che abbia a che fare con un mestiere culturalmente e psicologicamente impattante come questo, per crescere e migliorare la propria posizione deve necessariamente formarsi continuamente.
Altro punto contestato è che la norma esclude una larga fascia di insegnanti, ovvero coloro i quali nel 2033 saranno già in pensione o prossimi alla pensione. Affermazione difficilmente commentabile: abortire una riforma oggi perché qualcuno, come ovvio, andrà in pensione tra 10 anni?
“Di fatto non mette tutti gli insegnanti di ruolo nelle stesse condizioni di poter accedere all’eventuale “premio”. Il 40% degli insegnanti italiani ha più di 52 anni e fra 10 anni guarderà alla pensione”.
La norma, infine, dice la petizione, presenta rilievi di incostituzionalità perché elaborata e discussa a Camere sciolte, non appare un “affare corrente” e dovrebbe essere discussa con le parti interessate e in Parlamento. Questo punto, a nostro modesto avviso, è invece condivisibile.