Più che un rimedio alla crisi europea, segnerebbe l’inizio della fine del sogno europeista.
La maggioranza dell’opinione pubblica del vecchio continente, non ama salti nel buio. Non ama l’UE come è oggi, ma non vuole correre il rischio di un’uscita dall’euro o di una fine del progetto comunitario. A tal proposito è venuto in modo chiaro il messaggio del popolo olandese alle ultime elezioni, che riconfermando alla guida del Paese il Premier uscente, ha voluto ridare ancora fiducia al progetto di un’Europa unita. Ma proprio rispetto a questo estremo atto di fiducia in una possibile svolta dell’UE sembra assolutamente fuori luogo e antistorica, la risposta da poco data da un gruppo di Paesi, in sostanza i sei Paesi fondatori tra cui l’Italia, di dar vita ad un’Europa a due velocità. Una tale decisione sarebbe l’ammissione di una sconfitta totale.La sconfitta della politica di allargamento da 15 a 27 membri, in gran parte dell’Europa centro-orientale, che si realizzò dal 2004 al 2007, fa segnare dopo un decennio un bilancio del tutto negativo. Ha contribuito a complicare i rapporti con la Russia, non ha per niente estirpato o quasi, quel sentimento ultra nazionalista delle culture politiche balcaniche, né i molti aspetti illiberali delle loro istituzioni. Ha rappresentato per Bruxelles un continuo ostacolo nell’applicazione di linee di azione comune, anche perché i paesi dell’Europa centro-orientale fino ad oggi si sono mostrati più interessati a sfruttarne i vantaggi in termini di finanziamenti che a dividerne obblighi e pesi. Senza contare il timore da parte dei Paesi più avanzati di una concorrenza sleale da parte dei nuovi arrivati. L’allargamento è l’esempio negativo di come sia stata gestito con superficialità da parte delle classi dirigenti europee.Ma ciò che conta è che il progetto europeista fondato essenzialmente su un elemento economico, non è in grado di superare quelle divisioni che nel Vecchio Continente ha creato la storia, tra la parte occidentale e quella orientale. Anzi le ha accentuate. L’idea o la formula, che dir si voglia, è la presa d’atto di questo fallimento. Che poi ne sia anche una via d’uscita appropriata, è tutto da dimostrare.Questo per tre motivi. Il primo è che la proposta introduce in un progetto che voleva essere di unificazione, il principio di divisione. Il secondo motivo è che sarà difficile cancellare dalla mente dell’opinione pubblica dei paesi minori di essere considerati, fratelli più poveri, senza considerare poi, che la proposta non è stata accompagnata da nessuna previsione di architettura istituzionale, il che sottolinea ancor di più l’improvvisazione. Il terzo motivo risiede nel fatto che un’Europa a due velocità non farebbe altro che rafforzare il potere egemonico della Germania che a chiacchiere dice di essere europeista, ma nei fatti sa ascoltare solo le istanze dei cittadini tedeschi. Ma si sa che la Germania nel corso del 900 e poi dalla caduta del muro di Berlino ad oggi si è comportata sempre così, pagando amaramente questo suo comportamento. Ma si sa “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Quindi un’Europa a due velocità sarà in grado di arginare l’ambizione teutonica? A questa e a molte altre domande bisognerebbe dare al più presto una risposta, prima che sia troppo tardi.