Finita la battaglia per il Quirinale occorre pensare seriamente ad un piano B nel caso l’inflazione e la crisi energetica minacciassero il cammino e conseguentemente rallentassero la crescita economica del Paese. L’anno da poco iniziato dovrà chiudere le ferite lasciate dalla pandemia, concretizzare i piani d’investimento, riformare la burocrazia, la scuola e la giustizia. Nel frattempo i partiti in via di decomposizione, diventano sempre più litigiosi e non pensano ad altro che alle elezioni politiche del prossimo anno. Non possiamo non porci la domanda su un eventuale piano B, tenuto conto che non sta andando come previsto. La quota di fondi del Pnrr a valere sul 2022 è di circa 40 miliardi di euro che andranno spesi per confermare la ripresa dell’economia, ma anche il conto delle bollette è di 40 miliardi di euro più oneroso di quello del periodo pre-pandemico. Per non parlare dei prezzi delle materie prime e dei generi di prima necessità che lievitano giorno dopo giorno gravando inesorabilmente sul bilancio delle famiglie, inibendone i consumi. Molti economisti sostengono che questa sorta di bolla dovrebbe sgonfiarsi del tutto intorno al prossimo giugno. Intanto però il piano economico nazionale sta incontrando intralci e non si sta svolgendo come si pensava. E’ in corso un cambio di stagione che la classe politica, presa dalla sua esasperata rissosità e mancanza di visione del futuro, non è in grado di cogliere. Si pensava, un anno fa, ad un 2022 con un’inflazione bassa, ad una crescita rapida, grazie ai fondi europei, alla possibilità di fare scostamenti di bilancio grazie alla sospensione delle regole di Bruxelles e continuare ad aumentare il debito illimitatamente. Ma la realtà è più dura e concreta delle speranze e degli auspici: la crescita per l’anno in corso è già stata rivista al ribasso dalla Banca d’Italia. Già si ode il canto delle sirene teutoniche che guardano con preoccupazione al nostro debito pubblico e la velata richiesta a Bruxelles di richiamare i governi dell’UE perché siano meno prodighi. Dobbiamo, quindi, porci la domanda dell’esistenza o meno di un piano B: ma ad oggi la risposta è negativa. Del resto un eventuale piano di riserva deve mancare per forza, perché è inimmaginabile il ritorno ai tagli degli investimenti. In compenso abbiamo da spendere oltre 200 miliardi entro il 2026. E’ l’unica risorsa esistente per rimettere il Paese in sesto. Ed è qui che la politica diventa inadeguata e sorda. L’attuazione del Pnrr comporta per i partiti enormi sacrifici in termini elettorali e proprio alla vigilia delle prossime politiche dei primi mesi del 2023. E’ inevitabile che il piano degli interventi previsto dal Pnrr passi attraverso una serie di riforme che Bruxelles ci chiede ed impone: la riforma della giustizia cancellerà quella voluta da Bonafede, creerà malumori tra i 5 Stelle, quella della scuola e della pubblica amministrazione al Pd, quella sulla lotta all’evasione e della concorrenza a Lega e Forza Italia. Il taglio alle spese danneggia un po’ tutti i partiti che sostengono la maggioranza. L’unico piano che abbiamo è che i partiti prendano coscienza della situazione e si stringano intorno al governo per mettere in sicurezza il Paese. Del resto rappresentano i cittadini. E’ un dovere morale e politico.
Andrea Viscardi