Lirismo e libertà nelle opere di Giulio Repulino

Quello di Giulio Repulino  è un percorso artistico variegato che si sviluppa nel corso degli anni in maniera coerente segnato dalle sue precise e attente convinzioni e svincolato da ogni tipo di regola formale. Alimentato da una perenne curiosità Giulio Repulino non ama soffermarsi bensì ferve in lui quell’esigenza di mettersi continuamente in discussione che lo porta a realizzare opere di impatto comunicativo ed emozionale dove la dissoluzione delle forme unita ad un uso spregiudicato delle tinte testimoniano una grande capacità creativa, mai inquadrata entro schemi rigorosi.

La sua produzione diventa così testimonianza di un implacabile desiderio di esprimersi, di comunicare con il fruitore, di stuzzicarlo, di incuriosirlo, di aprirgli nuovi orizzonti e spunti di riflessione.

È evidente in ogni sua opera la capacità di affiancare al valore estetico il pensiero teorico dell’artista, il suo punto di vista sul mondo, su ciò che oggettivamente lo circonda e lo coinvolge.

Attento osservatore e artista poliedrico in Repulino si scorge quel senso di spontaneità e libertà assoluta dove segno e cromie entrano in rapporto quasi simbiotico ed insieme contribuiscono ad appagare la sua volontà di non rendere mai troppo esplicito il contenuto.

L’abilità nel riuscire ad andare oltre la standarizzazione dell’immagine e del concetto evoca un’esperienza profonda, vissuta, a volte sofferta ma sempre ragionata e pensata generando quel fascino accattivante dato solo da un sapiente accostamento di istinto e ragione, rigore e fervida fantasia, riflessività e irriverenza.

La profonda ispirazione unita alla capacità tecnica, alla perenne ricerca, ad uno studio colto e ardito, che abbraccia sia la sperimentazione dei materiali che la destrutturazione delle immagini, evocano un lirismo d’insieme dove nulla è lasciato al caso e dove l’uomo e l’artista si incrociano per unire il loro cammino lungo un percorso fatto di innovazione e di impatto.

La sua visione dell’arte vasta ed eterogenea si confronta costantemente con le tematiche più svariate. “La Ville Lumière 13-11-2015”“Tir sopra Berlino 19-12-2016” e “Insània in terra Nizzarda 14-07-2016” prendono spunto dai fatti più drammatici e brutali della contemporaneità: la ricerca estetica si coniuga all’indagine sociale attraverso una presa d’atto incisiva dove la tecnica va a supportare e a rafforzare il contenuto.

Il fuoco, usato per fissare il colore sulla tela (colori industriali, polvere di gesso colorata, microsfere di argilla, sabbia…), richiama alla violenza di una storia contemporanea disumana che ha perso empatia e senso di comunione tra i popoli e la matericità dell’insieme contribuisce ad inspessire la forza e il carattere della struttura pittorica.

Ecco allora che la pittura diventa una comunicazione “diversiva” rispetto alle grandi problematiche della vita ed acquisisce una funzione critica e analitica della storia a noi più vicina che arriva a toccare questioni politiche e sociali con vezzosità dissacrate e colta ironia, capace di affrontare in maniera irriverente l’attualità senza mai cadere nell’ovvio, nel volgare o nel qualunquismo come nel caso di “Conclave” (2005) in riferimento all’elezione papale dopo la morte di Giovanni Paolo II o “Cromo/inter/azione ovvero bell’Italia sedotta dai luccichii berlusconiani” nata come risposta all’elezione di Berlusconi nel 1994.

Questa volontà impellente di esprimere un pensiero e manifestare visivamente una riflessione attenta e a volte scanzonata sull’attualità non è solo circoscritta alle opere pittoriche ma ritorna nelle sculture ceramiche policrome in opere come “Il Picconaio” dedicata a Cossiga e la più sarcastica “Neogiullare Clementino” che trae ispirazione dai viaggi in Messico di Papa Giovanni Paolo II. L’analisi sociale ritorna anche nella produzione dei bassorilievi cromatici come ad esempio ne “I tre gattoni” con chiaro riferimento alle specie in estinzione.

Ad un’attenta osservazione notiamo come le forme ora astratte, ora arcaiche e primarie sono volte all’eliminazione del superfluo narrativo al fine di arrivare in maniera diretta ed incisiva all’essenza del concetto e si sposano al dinamismo cromatico in un gioco colto che diventa esercizio immaginativo.

Il lirismo di Repulino si esplica nella scelta dei titoli che accompagnano sapientemente l’opera generando quel senso di scalpitante curiosità nell’osservatore, quasi a volerlo mettere alla prova per non lasciarlo indifferente. Materia e forma procedono assieme amalgamandosi alla scelta dei soggetti e rimandando alla concezione filosofica tommasea secondo la quale l’essenza altro non è che l’unione di questi due elementi. In questo complesso e denso percorso, l’incessante ed armonico andamento ritmico rispetta la scelta dei soggetti trattati in rapporto perenne alla materia e alla forma: in ogni sua creazione c’è la personale capacità di tradurre l’essenza delle cose, di comunicare ciò che pensa, ciò che la sua mente elabora, ed il suo pensiero unito all’emotività diventa messaggio del fervente impatto emotivo che ritroviamo in ogni espressione creativa.

Repulino è animato da un moto di spirito in perenne fermento che fa sì che ogni sua opera non sia mai banale o scontata. La sua curiosità gli suggerisce inoltre di mettersi alla prova con la nobile tecnica dell’arazzo, reinterpretato in chiave contemporanea, in un tripudio di colori vivi che abbracciano l’osservatore carichi di fascino evocativo, dove le linee diventano movimento e le cromie si fanno ora morbide ora squillanti, portatrici non solo di un messaggio ma anche e soprattutto di una storia e/o di un colto concetto come esplicano i titoli delle stesse.

L’ardita sperimentazione tecnica trova inoltre libertà assoluta di espressione nei numerosi “Ziribigli” grazie ai quali Giulio Repulino si confronta con i colori più disparati ricavati da materie del tutto naturali arrivando ad una resa cromatica perfetta e accattivante. Realizzati su supporti “atipici” che contribuiscono a caricarli di carisma e incanto essi sono tenuti insieme da un vocabolo curioso, arcaico e inusuale il cui significato (canto degli uccelli) rimanda all’idea di libertà che altro non è che il comune denominatore di tutta la produzione dell’artista.

Nella sua lunga carriera non ha mai abbandonato l’amore per l’antica e nobile tecnica del bucchero, rivisitata, reinterpretata, resa attuale e contemporanea grazie alla particolarità delle forme e all’uso impattante del colore sempre capace di catturare l’attenzione e la curiosità di chi osserva. Una produzione che sorprende sempre lo spettatore con quella spontanea abilità di instaurare con esso una comunicazione profonda in grado di andare oltre la mera bellezza estetica e formale e di lasciare un “valore aggiunto”, un input nuovo, uno stimolo riflessivo diverso, un punto di vista inatteso sulle cose.

Monica Ferrarini

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