Lo spettro della scissione agita il Pd

Che vinca il ‘Sì’ o il ‘No’ nulla sarà come prima. E’ al 5 dicembre, più che al 4, che nelle ore in cui avanza inesorabile lo spettro della scissione la maggioranza e la minoranza Pd guardano con crescente attenzione. Perché se da un lato c’è una campagna referendaria arrivata ormai al suo apice, dall’altro c’è la sensazione, nella sinistra del partito, che il coro   alla Leopolda sia il prodromo di quello che accadrà il giorno dopo la vittoria del Sì: ‘Sul territorio verrà liberata una muta di cani contro di noi’, dicono i bersaniani tra i quali si osserva come, al di là del merito della riforma, solo con il ‘No’ il Pd, per come è stato costruito dal 2007 ad oggi, potrà reggere. I renziani osservano, per converso,  che  sul voto del 4 dicembre la minoranza stia già facendo il Congresso. I renziani non si stancano di ripetere, anche a taccuini chiusi, che Matteo Renzi non ha mai cacciato nessuno,   ma osservano, d’altro canto, come il rischio di una scissione nel Pd sia legato al combinato disposto tra l’esito del referendum e la necessità, per i bersaniani, di costruirsi una nuova scialuppa in vista delle prossime elezioni. Una necessità legata a doppio filo con la legge elettorale che verrà.  Ben diverso sarebbe lo scenario post-vittoria del ‘No’. A quel punto, secondo i parlamentari più vicini al premier, le dimissioni di Renzi sarebbero scontate e il capo del governo potrebbe anche accettare un reincarico per il tempo necessario ad approvare la manovra. La frattura, insomma, è netta e non riguarda solo il referendum. C’è chi, come il lettiano Marco Meloni, ad esempio, voterà ‘Sì’ il 4 dicembre ma guarda sbigottito ad un escalation senza freno, ad una campagna che sta producendo una divisione nel Paese, nel Pd e nei rapporti con l’Ue. La speranza, osserva Meloni, è che prevalga la ragionevolezza anche perché qualsiasi risultato sarà ottenuto su macerie che dovranno essere ricostruite. La famosa  agenzia di rating Moody’s ha deciso di intervenire nel dibattito sulla riforma costituzionale e sul referendum,  seguendo l’esempio di Fitch e Standard & Poor’s. Ovviamente contenuto e senso della presa di posizione erano ampiamente prevedibili, perchè la catastrofe è dietro l’angolo dei confini italiani se il ‘Sì’ non dovesse trionfare nel segreto dell’urna. Non dimentichiamo che nel 2013 J.P. Morgan   spiegava che in Europa le costituzioni andavano cambiate, più o meno tutte. L’esito del referendum del 4 dicembre sarà fondamentale per determinare se la spinta alle riforme continua oppure andrà in stallo.

Roberto Cristiano

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