Lo stereotipo

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articolo ricevuto da James Hansen:

Uno stereotipo, almeno in senso sociologico, è una sorta di luogo comune impiegato
per descrivere gruppi estesi di persone, attribuendo in blocco alla loro razza, fede, genere, condizione
sociale e così via particolari comportamenti e caratteristiche.
Un’esempio—blando—è il comune preconcetto che le persone che portano gli occhiali
siano più intelligenti. Strano a dirsi, ci sono eccellenti prove scientifiche a dimostrare
che sia proprio così, si sospetta per un ipotetico meccanismo genetico. La storia delle
bionde “sceme” invece è stata smentita da una ricerca americana condotta su un
campione di 10mila soggetti per studiare il rapporto tra il colore dei capelli e il quoziente
intellettivo. Le bionde sono risultate le più intelligenti, con un QI medio di 103,2
rispetto alle castane (102,7), le rosse (101,2) e le corvine (100,5).
Con le guerre culturali odierne, particolarmente tra gli anglosassoni, gli stereotipi sono
molto malvisti, da scartare come falsi
a priori, senza pensarci troppo su. Perfino la ricerca
sul tema è considerata accademicamente pericolosa. C’è il rischio di rovinarsi la carriera confermando
per sbaglio qualche luogo comune impopolare.
Eppure, per citare le conclusioni di un gruppo di studiosi guidato dal Prof. Lee Jussim, Preside della
facoltà di Psicologia della Rutgers University: “La validità degli stereotipi è uno dei più importanti e più
replicabili effetti nell’intero campo della psicologia sociale”. Per dire, gli stereotipi non arrivano dal
nulla, corrispondono in qualche modo al vissuto di chi li impiega, e mentre non è detto che siano
sempre corretti, sono serviti—anche per secoli—come “regole di vita”.
Oggi, il tentativo è di cambiare la realtà attuale parlandone diversamente e disconoscendo fatti che
contrastano con il mondo che vorremmo trovare attorno a noi. È, in grande, la stessa operazione che ha
trasformato gli spazzini in operatori ecologici. Purtroppo, ne nasce l’obbligo a credere a delle cose che a
volte—e quando conta—sappiamo essere non esattamente vere…
Possono esserci dei fatti macroscopici—e forse d’importanza vitale—che non combaciano con il mondo
che pensiamo di costruire. Fa un certo effetto leggere i dati del
Center for Disease Control del Governo
Usa sulle principali cause di mortalità dei giovani neri. Tra i maschi
“Non-Hispanic black” la prima causa
di morte, di molto, nel gruppo d’età da 1 a 19 anni è—al 35,2%—l’omicidio. Del resto, l’omicidio è anche la
prima causa di morte (28,9%) tra i neri dai 20 ai 44 anni. Dai 45 anni si può finalmente morire per una
malattia cardiaca e gli omicidi calano a un misero 1,9%.
Ne viene fuori il classico paradosso del
“liberal” di New York che di giorno sente di dover predicare una
versione idilliaca dei rapporti tra le razze nella sua città e poi, la sera quando i figli escono, deve trovare il
modo di ricordargli di non andare nei quartieri neri perché potrebbe essere pericoloso.
Il problema con gli stereotipi non sta nel fatto che possano avere una parte di verità anche quando quel
“vero” è socialmente sgradito. È che, come capita con tutte le tipologie di luoghi comuni, troppo spesso
si sostituiscono al pensiero.

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