Martedì 19 gennaio 2021 la Regione Lombardia ha depositato al Tar del Lazio un ricorso di 23 pagine in cui ha chiesto di annullare tre provvedimenti. Nella fattispecie l’ordinanza del ministro della Salute firmata da Roberto Speranza il 16 gennaio scorso (ordinanza che applica al territorio lombardo le misure previste per la zona rossa), il Dpcm del 14 gennaio nella parte in cui stabilisce i criteri per la classificazione e il decreto ministeriale del 30 aprile 2020 sui parametri a cui si rifà l’attività di monitoraggio.
Oggi 21 gennaio, alle ore 12, ci sarà l’udienza, mentre la decisione del giudice monocratico dovrebbe arrivare prima del fine settimana. La Lombardia, per accelerare la pronuncia della sentenza, ha chiesto, come riferisce il Corriere della Sera, “una valutazione cautelare immediata” e “l’abbreviazione dei termini processuali nella misura massima possibile”. Nelle scorse ore è invece giunto il no perentorio del ministro Speranza all’ipotesi di un’intesa tra Regione e governo per restringere a solo sette giorni la durata della zona rossa. Dunque la Lombardia resterà ‘rossa’ fino al 31 gennaio, a meno che il Tar accolga il ricorso.
Laddove il ricorso riceva esito positivo, si aprirebbe un capitolo che va ben oltre il singolo caso della Lombardia, in quanto verrebbero minati i criteri che fino ad ora stabiliscono quali regioni finiscono in zona rossa, arancione, gialla o bianca. In altre parole, un verdetto favorevole alla Lombardia creerebbe un precedente che potrebbe fare scuola e a cui altre regioni potrebbero appellarsi in futuro, mettendo il crisi il sistema ‘cromatico’ attualmente in vigore.
Lombardia, il ricorso contro la zona rossa: i punti chiave su cui punta la Regione
Nel ricorso si legge, come riferisce sempre il Corriere della Sera, che le nuove misure disposte sono “illegittime” e “costituiscono un vulnus gravissimo (ed ingiustificato) al tessuto economico, sociale e produttivo della Regione: la classificazione in zona rossa preclude infatti, come noto, lo svolgimento di una vastissima platea di attività economiche ritenute non essenziali, oltre a limitare ulteriormente la possibilità di movimento dei cittadini e la fruizione del servizio scolastico”.
L’obbiettivo della Lombardia è quello di innescare “una tempestiva e rinnovata valutazione dei dati epidemiologici” rispetto al sistema attualmente valido. “Incredibilmente — si legge sempre nel ricorso — il dato dell’incidenza settimanale (nuovi contagi ogni 100mila abitanti) non assume alcun rilievo, o comunque, assume un rilievo del tutto recessivo rispetto all’indice di trasmissibilità Rt“.
Un parametro che, invece, vede la regione amministrata da Attilio Fontana, con 133 casi, cioè sotto la media del Paese e assai distante da Regioni come il Veneto (365,6). Eppure “sulla classificazione ha influito in modo pressoché esclusivo il dato dell’Rt”.
“Il Dpcm del 14 gennaio, dando peso prevalente all’Rt, non riesce ad intercettare le situazioni di reale rischio per la tenuta del sistema sanitario”, si legge sempre nel ricorso, in cui è stato anche sottolineato che la Regione ha dovuto “sospendere tutte le attività di commercio al dettaglio e di servizi alla persona”, oltre “ad inibire totalmente lo spostamento dei cittadini”. Il tutto in “un quadro epidemiologico finanche meno grave di quello delle Regioni limitrofe, come Emilia-Romagna e Veneto”.