L’Università per stranieri di Siena sospende la didattica per il Ramadan

L’Università per stranieri di Siena sceglie di sospendere la didattica nel giorno di Aid al Fitr, festività musulmana che segna la fine del digiuno del Ramadan che quest’anno si celebra tra la sera di martedì 9 e la sera di mercoledì 10 aprile. Il rettore Tomaso Montanari specifica si tratta di un segno di solidarietà al popolo palestinese.

L’Università per stranieri di Siena ha deciso di sospendere la didattica nella giornata di mercoledì 10 aprile 2024, giorno del Aid al Fitr.

Dall’ateneo si motiva la chiusura come “segno di condivisione” per la festa che celebra la fine del Ramadan.

Oltre alla vicinanza alla festività religiosa, il rettore Tomaso Montanari ha dichiarato l’intenzione di dare “un visibile segno di solidarietà con la popolazione palestinese di Gaza, in grandissima parte musulmana, sottoposta a un incessante, inaudito, massacro”.

La scelta dell’ateneo è stata spiegata da Tomaso Montanari, storico d’arte, rettore dell’Università per stranieri di Siena dal 2021 e attualmente in corsa come sindaco di Firenze.

Montanari dichiara la volontà di una “pacifica convivenza tra i popoli”, affermando l’intenzione di sospendere le lezioni anche il prossimo venerdì 11 ottobre, in occasione della festa del Kippur ebraica.

“La nostra missione statuaria è costruire il multiculturalismo, e contribuire alla pacifica convivenza tra i popoli”: sono le parole di Montanari.

Lo stesso alla scuola elementare di Pioltello

La decisione del rettore Montanari potrebbe diventare oggetto di polemiche, guardando i precedenti dell’Istituto comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, in provincia di Milano.

Anche la scuola elementare lombarda ha scelto di restare chiusa nel giorno della fine del Ramadan, per permettere ai numerosi studenti musulmani di celebrare in famiglia senza perdere un giorno di didattica.

“Spero che a nessuno venga in mente di politicizzare questa decisione” aveva dichiarato il preside Alessandro Fanfoni al Fattoquotidiano.it, al capo di una scuola frequentata per la maggioranza da bambini provenienti da famiglia di fede musulmana.

E invece le critiche sono state aspre, numerose e spesso arrivate proprio da figure politiche. La scelta è stata contestata anche dallo stesso ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, oltre che dal vicepremier Matteo Salvini.

L’ufficio scolastico regionale ha riscontrato “irregolarità” nella delibera della scuola di Pioltello sulla chiusura per la festa di fine Ramadan

‘L’integrazione a scuola è un tema importante e non può essere liquidato con un tifo da stadio’. Alza il tono della voce Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’associazione nazionale presidi, commentando la proposta di mettere un tetto del 20% di alunni stranieri nelle classi. Si spazientisce prima sull’uso della parola «proposta» («le proposte sono quelle fatte nelle sedi opportune e sarebbe necessario», precisa) e poi anche sulla deriva a suon di percentuali che ne è derivata. Perché invece, entrando nel merito, «la posizione del ministro Valditara mi sembra più che condivisibile e anche ragionevole». «Lo condivido – ripete – Per imparare meglio l’italiano è preferibile che la classe sia a maggioranza di italiani. Il ministro pone una questione giusta e importante, sull’identità e come la vogliamo mantenere. Poi è chiaro che va trovato un equilibrio tra quest’affermazione di principio e le situazioni di fatto. Ci sono realtà, in Italia non sono neanche tante, dove la maggior parte degli studenti è fatta di stranieri. Che fare in quei casi? Ecco perché il dibattito è importante, il ministro è stato intellettualmente corretto a porlo, ma ora deve essere affrontato nelle sedi opportune. Cioè il Parlamento». Altrimenti, finisce per creare schieramenti semplicistici che si riducono a un «favorevole o contrario agli immigrati», riducendosi ad una polemica sterile «senza arrivare alla soluzione» di un problema che invece è costituzionale: quello del diritto allo studio e quello dell’inclusione. Peraltro i precedenti non mancano. Già nel 2010 quando ministro dell’Istruzione era Mariastella Gelmini, era stata emanata una circolare che fissava al 30 per cento il tetto di stranieri in classe. Quindi già qualcosa c’è. Ma solo in teoria. Perché in pratica, tanto per dare un numero (dati del 2022) a Milano, una delle città senz’altro più interessate a questo fenomeno, su 143 scuole elementari, ad esempio, 68 registrano una percentuale di stranieri sopra il 30 per cento alle quali ne vanno aggiunte altre 23 che si assestano tra il 20 e il 30%. «Le circolari – tuona Giannelli – non sono una fonte del diritto. Servono leggi». Quindi «inutile fare la gara a chi spara la percentuale più alta rincorrendo soluzioni ideologiche». Chissà quanti tra coloro che si scandalizzano sulle affermazioni del ministro poi sono i primi a mandare i figli in Inghilterra nella scuola dove non c’è nemmeno un italiano per poter imparare bene la lingua. Un paradosso. «Tutti a fare il corso a Brighton, diventato una specie di succursale italiana. E poi non si integrano». C’è poi un altro risvolto del problema: la fuga degli alunni italiani dalle scuole pubbliche di certi quartieri dove la concentrazione degli stranieri è ritenuta troppo alta. Un fenomeno a cui è stato dato persino un nome. Si chiama «White flight» (la fuga dei bianchi) mutuato dall’America dove è studiato fin dagli anni ’60, ma apparso per la prima volta in Italia in uno studio del Politecnico pubblicato nel 2017, in continuo aggiornamento. «Ormai non c’è più l’obbligo di iscrivere i figli nel bacino scolastico vicino a casa – spiega Costanzo Ranci, docente di Sociologia al Politecnico di Milano che lo ha realizzato (e pubblicato con Carolina Pacchi da Franco Angeli) – La scuola dell’obbligo invece di annientare le disuguaglianze le radicalizza, con una segregazione dei bambini stranieri dovuta anche alla fuga degli italiani».

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