Luigi Di Maio è assediato dai ribelli del Movimento 5 Stelle. E le espulsioni non possono essere la soluzione a tutti i problemi. Il rischio è infatti quello di indebolire eccessivamente la forza politica sulla quale si regge il governo in Parlamento.
Stando a quanto riferito da il ‘Corriere della Sera’, Luigi Di Maio, in uno sfogo, avrebbe minacciato di dimettersi. La frase sarebbe stata pronunciata in senso di sfida e non di resa. Una provocazione e non un progetto. E in effetti le dimissioni volontarie del leader politico del Movimento 5 Stelle sono altamente improbabili.
Ma in casa M5s sono tanti quelli che chiedono un passo indietro da parte del capo politico, che potrebbe essere immolato sull’altare della maggioranza di governo. Inoltre la pressione su Di Maio potrebbe aumentare dopo le elezioni regionali, dove si profila una netta sconfitta del Movimento 5 Stelle.
Al momento l’ipotesi più probabile è che il nuovo Movimento 5 Stelle avrà una gestione collegiale del potere. Di Maio non sarebbe più un uomo solo al comando ma sarebbe affiancato da un team con potere decisionale. Un’iniezione di democrazia in un Movimento rimasto intrappolato nelle fitte reti di Palazzo. Ma il leader politico dovrebbe resistere fino al prossimo mese di marzo, quando si riuniranno gli Stati generali. Dovrebbe quindi superare indenne appuntamenti pericolosi come le elezioni regionali, il voto su Matteo Salvini per il caso Gregoretti, le discussioni sulla prescrizione e quelle sulla revoca delle concessioni ad Autostrade, tanto per citare alcuni degli ostacoli sul percorso del leader pentastellato.
Luigi Di Maio finisce sulla graticola e il suo passo indietro diventa una suggestione. Anche se per poche ore. Già giovedì sera i parlamentari che hanno preso parte alla congiunta, uscendo dalla riunione, si lamentavano: «Qui non cambia nulla. Più che un gruppo siamo un gregge. Non è stato possibile nemmeno leggere il documento contro i vertici scritto dai senatori». Un tassello che dovrebbe far intendere quanto Di Maio voglia gestire questa fase di transizione.
Già, perché il leader sta disegnando il progetto del Movimento che è e che sarà. I tempi? Probabilmente l’architrave dei pentastellati sarà definita o illustrata prima degli Stati generali, che si dovrebbero tenere ad Assisi (in seconda battuta ci sono Torino e Roma) tra il 13 e il 15 marzo. Secondo le indiscrezioni, Di Maio ha intenzione di lanciare una nuova struttura, una «gestione più collegiale». L’idea è di un doppio Movimento, a due livelli: uno governativo e l’altro, di fatto, che gestisca il «brand» Cinque Stelle. E non solo. Saranno lanciate anche altre novità. La più rilevante riguarda Rousseau: la piattaforma smetterà di essere un corpo autonomo. Rousseau — con i suoi costi e la sua struttura — e verrà «inglobato» nel Movimento. Davide Casaleggio diventerà responsabile del sistema operativo. Il mantra sarà «non solo web» e il Movimento diventerà sempre più partito: saranno destinati fondi ai territori per le iniziative e si darà vita a un nuovo progetto civico parallelo che tenda ad integrare tutte le realtà civiche del Paese.
Agli Stati generali i vertici si confronteranno se scegliere di essere la terza via (tra centrosinistra e centrodestra) della politica, «l’ago della bilancia» come ha più volte detto Di Maio che caldeggia questa soluzione, o cercare un’alleanza stabile con i dem, linea su cui sono orientati Beppe Grillo e l’asse ortodosso. Una resa dei conti, in cui i vertici immaginano una partecipazione «corale» dei gruppi, per vidimare o smentire definitivamente la storia del posizionamento nel «campo progressista» dei Cinque Stelle. Che quello sia il ring designato è chiaro anche dal messaggio che alcuni governisti lanciano ai senatori ribelli: «Se vogliono discutere della forma del Movimento possono farlo agli Stati generali. Ma non ci tedino ogni giorno sullo stesso argomento».
Solo dopo gli Stati generali, eventualmente, ci saranno le modifiche allo Statuto. Con le Regionali alle porte e un Movimento più definito.