Beppe Grillo è noto per le sue posizioni filocinesi e a Palazzo Chigi la sua posizione non appare sorprendente. Quel che preoccupa è la scelta dei tempi. il tempismo. Che il Garante dei 5 stelle si sia preoccupato di difendere la Cina e sparare contro la Nato subito dopo un G7 in cui gli americani hanno posto con forza, come assolutamente prioritaria, la questione delle mire espansionistiche cinesi in Europa.
Mario Draghi, per storia personale e per convinzioni politiche, ha sempre lavorato con gli Stati Uniti e mai con l’est Europa né tanto meno con la Cina. Il suo atlantismo non è un abito di convenienza ma una presa di posizione convinta.
Luigi Di Maio, sua sponte, assicura al premier che quella di Beppe Grillo è “una posizione personale e non politica”. Quindi non riguarda l’azione del Movimento, almeno non più, visto che durante il primo governo Conte la firma dell’accordo sulla Via della Seta era andata proprio in quella direzione, complice anche il legame con la Cina e la Russia di una parte della Lega di Matteo Salvini.
Di Maio, sia chiaro, è diventato, bontà sua, il più atlantista tra i 5 stelle. Colui che più di tutti ha cercato in questi anni un rapporto fruttuoso con l’amministrazione americana, prima ancora di andare al governo, nella sua prima visita a Washington da candidato premier del M5S.
Era stato Di Maio a spiegare a Giuseppe Conte che quella di accettare l’invito dell’ambasciatore cinese a Roma durante il G7 in Cornovaglia non era assolutamente una buona idea né per il leader di un partito che fa parte del governo né per un ex premier.
L’incontro all’ambasciata è stato annullato per motivi personali non spiegati. Conte ha parlato di “polemiche strumentali”, dicendo che non è la prima volta che incontra ambasciatori e che “è normale che un leader esponga la propria proposta alle altre nazioni”. Poi ha aggiunto: “Il fatto di poter dialogare anche con asiatici importanti come la Cina è di utilità per tutti, ovviamente nel contesto dell’unità atlantica e dell’Ue”.
Grillo, attraverso il suo blog cose ben più nette. Che trovano eco nelle posizioni di parlamentari ancora dentro il Movimento 5 stelle: uno è il presidente della commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, che pochi giorni fa ha firmato un appello proprio sul blog di Grillo sostenendo che la situazione sociale e politica nella Xinjiang sarebbe “più complessa del sensazionalismo della stampa generalista occidentale”. Dimenticando forse che alla Camera la stessa commissione Esteri ha approvato una risoluzione che sostiene il contrario e che impegna il nostro governo a esprimere una presa di posizione netta davanti alle autorità cinesi.
Per Alessandro Di Battista quanto accaduto non è una questione banale per Mario Draghi ed è chiaro che se mai il Movimento ponesse su questi temi una questione politica, troverebbe la porta del premier chiusa.
Il G7, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il vertice dei 30 Paesi della Nato – conclude il leader azzurro – hanno riconosciuto che, come sostengo da anni, la Cina attenta alla nostra sicurezza. È ora che su questo tema si faccia fronte comune.
Era il periodo, inizio 2019 appunto, in cui sulle prime pagine dei giornali faceva bella mostra di sé il progetto della «nuova via della Seta». Sui cui pericoli, tuttavia, Berlusconi ha sempre puntato il dito. «Ci sono ovviamente molte opportunità grazie allo scambio commerciale che questa nuova via ci consegnerà – commentava – ma i rischi sono maggiori. Basti prendere a esempio la tecnologia digitale e la telefonia mobile. Ci invadono e non è nemmeno chiaro quali effetti potranno avere gli enormi investimenti nel nucleare e nel settore militare. Fermare l’egemonia commerciale cinese, va ripetendo da tempo Berlusconi, serve soprattutto a difendere i nostri valori democratici e liberali.
La svolta internazionale fa il paio con la svolta italiana con Draghi che, sostituendo Conte, ha definitivamente abbandonato le miopi velleità della nuova Via della Seta.