Tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, la tensione resta sempre latente, e l’attuale ministro degli Esteri raccoglie sempre un maggior numero di consensi.
Di Maio è apprezzato dai parlamentari per la linea filo-governista, riassunta nell’affermazione “Niente scossoni”, consegnata a una recente intervista su La Repubblica. Un avvertimento sulla tentazione di agitare le acque durante il semestre bianco. Insomma, deputati e senatori vogliono una navigazione tranquilla fino al termine della legislatura, allontanando l’ipotesi del voto, che non dispiace affatto ai contiani.
La gran parte dei gruppi è effettivamente legato a Di Maio, mentre Conte ha invece molte difficoltà a controllarli: “Non ci dice mai nulla, sappiamo le cose sempre per ultimi e ci viene chiesto solo di finanziare emotivamente il progetto”.
C’è in prima battuta la questione della deroga alla regola del secondo mandato. La strategia del rinvio è stata messo in atto, ma prima o poi il leader dovrà assumere una decisione netta. Con tutte le conseguenze del caso. E, in questo caso, Di Maio potrebbe essere una sponda preziosa, specie per i parlamentari al secondo giro.
Nella partita degli incarichi interni, “Di Maio non vuole un ruolo nella segreteria, o come si chiamerà l’organismo politico, di Conte”, fa sapere una fonte parlamentare. Il numero uno della Farnesina è orientato ad accettare la nomina nel comitato dei Garanti, su indicazione di Beppe Grillo. Un doppio segnale: di vicinanza al fondatore e di una posizione super partes nel Movimento contiano. Perciò se Conte dovesse fallire, lui potrà dire che stava facendo altro.
Conte ha dovuto incassare il clamoroso ko tecnico sulla giustizia e la rivolta interna, con i 60 che hanno preferito non palesarsi in aula al momento del voto. E non solo: indispettito, l’ex premier starebbe pensando alle prime due purghe, alle prime due espulsioni.
Ci sono anche dei sondaggi, riservati e che circolano all’interno del M5s, di cui dà conto Dagospia in un cosiddetto “Dagoreport”. Numeri impressionanti, ovviamente in negativo e ovviamente per i grillini. La rilevazione, infatti, dà il M5s al 12%, nuovo minimo storico a partire dal massimo che fu fatto registrare nel 2018, quando i grillini presero il 32% alle politiche. Numeri in netta e costante discesa. Per Giuseppe Conte il compito del rilancio del Movimento sembra, ad oggi, impossibile, e si registra il fatto che i pentastellati raccolgono percentuali misere. A Roma, Virginia Raggi, rischia di restare fuori dal ballottaggio: un 10% di voti grillini, stando alle rilevazioni, si sarebbe spostato verso Carlo Calenda, accreditato di un roboante 27 per cento.