M5S e salario minimo

È il salario minimo la proposta che il M5S intende cavalcare per risalire nella china dei consensi: il vicepremier Luigi Di Maio ha convocato oggi un vertice di tutti i ministri pentastellati e subito dopo una riunione dei tecnici proprio per mettere a punto la nuova proposta che punta a fissare a 9 euro l’ora la paga oraria minima per i lavoratori. La proposta del M5S sta guadagnando in queste ore il centro del dibattito politico. Anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia è intervenuto per ribadire la contrarietà degli imprenditori a un «tetto minimo» salariale fissato per legge: ««Il Paese non cresce con il salario minimo, bisogna elevare i salari dei lavoratori italiani riducendo le tasse e i contributi, il famoso cuneo fiscale, detassando i premi di produzione».

Luigi Di Maio spinge sull’acceleratore per il “salario minimo”, che difinisce “il prossimo passo” per “restituire dignità a circa 3 milioni di lavoratori sottopagati”. “E’ una legge presente in tanti paesi europei e l’Italia non può restare a guardare”, dice il vicepremier ai ministri M5s durante l’incontro a Palazzo Chigi prima di convocare una riunione con i tecnici per approfondire il dossier.

La proposta del ministro di Sviluppo economico e Lavoro, però, lascia fredda l’Osce. “Non è la soluzione alla questione salariale italiana o ai problemi del mercato del lavoro italiano”, spiega infatti Andrea Garnero, economista del dipartimento lavoro e affari sociali dell’organizzazione nel corso di un’audizione in commissione Lavoro alla Camera. “È uno strumento legittimo, interessante, con alcune potenzialità ma anche con alcuni limiti”, prosegue. Tra l’altro – sottolinea Garnero – un salario minimo fissato a 9 euro lordi (la cifra di cui si parla) sarebbe al momento “il più elevato tra i Paesi Ocse” e “anche della maggioranza dei contratti collettivi esistenti”.

L’Istat frena. “L’analisi dell’impatto dell’incremento retributivo medio annuo stimato sugli aggregati economici delle imprese con dipendenti (circa 1,5 milioni) consente di evidenziare un aggravio di costo pari a circa 4,3 miliardi complessivi, che, se non trasferito sui prezzi, porterebbe a una compressione di circa l’1,2% del margine operativo lordo”, dice il presidente Gian Carlo Blangiardo in commissione Lavoro alla Camera.

Per l’Istituto di statistica la ricaduta della spesa pubblica della P.a. sarebbe di quasi 700 milioni, precisamente 698 milioni di euro. “I consumi finali delle amministrazioni pubbliche, corrispondenti agli acquisti di beni e servizi da parte dell’operatore pubblico che vanno alle famiglie in forma di trasferimenti sociali in natura, aumentano di 472 milioni, mentre l’incremento degli acquisti per consumi intermedi delle amministrazioni pubbliche è pari a 226 milioni”, spiega ancora Blangiardo che tuttavia fa notare come non tutti i circa 700 milioni finirebbero in indebitamento: bisognerebbe tenere conto anche delle entrate derivanti da un aumento del monte salariale.

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