Almeno un piatto Made in Italy su quattro deriva totalmente o in parte da ricette degli antichi romani a testimoniare il forte legame che unisce la gastronomia nazionale alla storia millenaria del Paese. E’ quanto stima la Coldiretti in occasione dell’inaugurazione del Festival nazionale di Campagna Amica “Cibi d’Italia” al Circo Massimo a Roma dove è stata effettuata una ricostruzione autentica della prima tavola con i cibi degli antichi romani, allestita alla presenza di migliaia di scolari. Dal Garum, oggi noto come colatura di alici, che Apicio annovera in quasi tutte le sue ricette nel famoso libro “De re coquinaria” al Libum il pane più antico la cui ricetta è descritta minuziosamente da Catone nel celebre “agri cultura liber”, e ancora dai Basynias, antenati degli struffoli citati da Ateneo nella suo storica opera “Deipnosophistai” alle Lagane e tracta, le squisite tagliatelle alla bolognese, citate nelle Satire di Orazio sono solo alcune delle specialità dal nome curioso e altisonante citate nelle popolari opere dei più celebri autori latini che, attraversando millenni di storia, sono state trasmesse fino ai giorni nostri. Il cibo, come testimoniato da Orazio e Petronio che rispettivamente nel “Satira VIII” del libro I e nel “Satyricon” descrivono minuziosamente ogni portata del convito di Nasidieno e della cena di Trimalcione – sottolinea Coldiretti – era costantemente al centro della vita degli antichi romani aristocratici e rappresentava una preziosa occasione per esaltare le proprie ricchezze attraverso infinite portate e per pavoneggiarsi tra gli invitati sfoggiando le proprie conoscenze culinarie. Moltissimi autori, da Catone ad Apicio, si sono dilettati a raccontare meticolosamente le diverse portate sulle tavole dell’antica Roma e così si scopre che il pane più antico ed apprezzato era il Libum di cui nel “agri cultura liber” l’autore descrive accuratamente la ricetta “farai così il libum: sciogli bene in un mortaio due libbre di formaggio. Quando lo avrai reso del tutto liscio impasta bene…”. E ancora si apprende che il Garum, la rinomata colatura di alici tipica della costiera amalfitana, era molto utilizzata come testimonia Apicio, come prezioso condimento per moltissime ricette, ma anche come unguento medicamentoso, indispensabile all’epoca per guarire ustioni e morsi di coccodrillo. Da Ateneo, attraverso il “Deipnosophistai”, si viene a sapere che i Muscari, oggi conosciuti come lampascioni, erano sempre presenti tra gli antipasti della ‘gustatio, anche se non sempre graditi agli ospiti per il loro gusto’ amarognolo e per le spese da affrontare per renderli più amabili. “Quello tramandato dai grandi autori del passato – afferma il presidente della Coldiretti Sergio Marini – testimonia l’immenso patrimonio enogastronomico nazionale che solo l’Italia, come unico Paese al mondo, può vantare di aver custodito e trasmesso, seppur con qualche piccola variante acquisita nel corso dei secoli, fino ai giorni nostri”. Si viene a sapere che l’amata cassoeula dei milanesi è una ricetta ereditata dagli antichi romani ben duemila anni fa col nome di Pulmentarium ad ventrem, la famosa porchetta di Ariccia tanto cara ai laziali è in realtà una golosità già molto apprezzata dai loro antenati col nome di Porcellum elixum farsilem e la caratteristica pizza bianca romana, nota in tutta la penisola aveva già in passato il nome di Artolaganaus. E poi il pregiato Oxyporium, meglio conosciuto come aceto balsamico era già noto e amato dagli antichi, l’Esicia plena, a noi arrivate come polpette fritte, non sono un’invenzione della nonna, la tradizionale Saba emiliana era di uso comune nell’antica cucina romana. Di fondamentale importanza per i romani – continua Coldiretti – era la presenza in tavola del vino che non veniva quasi mai bevuto in modo assoluto, sempre miscelato e aromatizzato con altre sostanze.
(Fonte Agi)