La prima autobomba usata dalla mafia contro le istituzioni esplose 55 anni tra gli agrumeti della Conca d’oro, nella borgata palermitana di Ciaculli, celebrata per i suoi mandarini e feudo della famiglia mafiosa dei Greco. “La strage di Ciaculli e’ una ferita lunga cinquantacinque anni che non possiamo dimenticare”, dice Marino Fardelli, nipote omonimo del giovane carabiniere che mori’ il 30 giugno del 1963 con il tenente dell’Arma Mario Malausa, il maresciallo capo Calogero Vaccaro, il carabiniere Eugenio Altomare,; il maresciallo della polizia Silvio Corrao, il maresciallo dell’Esercito Pasquale Nuccio e il soldato Giorgio Ciacci. Quello stesso giorno l’Italia viveva e fatti storici e i Tg ne trasmettevano le immagini: la visita del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e la proclamazione di Papa Paolo VI. In quegli stessi momenti le agenzie battevano questo testo: “Nuovo gravissimo episodio di banditismo nella Sicilia occidentale. Un tenente, tre sottufficiali e tre militi uccisi in un criminale attentato dinamitardo presso Palermo”. “Ogni mese di giugno da cinquantacinque anni – racconta Fardelli all’AGI – la mia famiglia commemora la nascita e la morte del carabiniere Marino Fardelli, fratello di mio padre, che, solo ventenne, venne ucciso per mano della mafia”. Le cronache di quel caldo giorno di 55 anni fa raccontano che, nel pomeriggio del 30 giugno, nella zona di Ciaculli una ‘Giulietta’ Alfa Romeo imbottita di tritolo e parcheggiata nei pressi dell’abitazione di un parente del boss mafioso Salvatore Greco esplose provocando la morte di sette tra carabinieri, poliziotti ed artificieri dell’Esercito.
“Non bisogna mai dimenticare il sacrificio di coloro che hanno combattuto con coraggio contro la criminalita’ organizzata”, afferma Fardelli. Ma dopo 55 anni non ci sono verita’ e quindi giustizia sulla strage. “Ancora non abbiamo alcuna condanna diretta per la strage di Ciaculli. Al processo di Catanzaro molti degli imputati furono assolti per insufficienza di prove o condannati a pene brevi. Ma abbiamo una certezza: quella mafia aveva capi storici, quali Riina e Provenzano”, dice Fardelli, e ricorda: “I giornali dell’epoca parlarono del delitto piu’ grave dai tempi di Salvatore Giuliano. In centomila parteciparono ai funerali. La pressione sulle istituzioni fu tale che una settimana dopo la strage furono avviati i lavori della prima Commissione parlamentare Antimafia della storia repubblicana, mentre le forze dell’ordine arrestarono duemila persone appartenenti a Cosa nostra in una controffensiva storica che smobilito’ le maggiori famiglie mafiose”. Il giovane carabiniere Marino Fardelli era di Cassino ed e’ nel paese laziale che la salma, proveniente dalla Sicilia, giunse la sera del 3 luglio alla stazione ferroviaria. A riceverla c’erano un gruppo di carabinieri, alcuni familiari e parecchi amici e conoscenti, sconvolti per l’accaduto. “La piazza adiacente la chiesa era stracolma – racconta il nipote – tutto il paese volle salutare Marinuccio. Lungo la strada erano presenti tante corone di fiori tutte tricolori, portate dai molti giovani del paese che parteciparono emozionati alla celebrazione funebre”. Oggi, 55 anni dopo, il pensiero di Fardelli va ai piu’ giovani perche’ proprio il giorno della commemorazione verranno premiati i piu’ bravi studenti delle classi locali di Cassino e non solo: “E’ alle nuove generazioni che dobbiamo trasmettere il ricordo di coloro che hanno sacrificato la loro vita a difesa della legalita’. Dobbiamo dire grazie anche a chi lavora ogni giorno con dedizione, a tutte le forze dell’ordine ed a chi sta sacrificando la propria vita per un senso civico di liberta’”.