Un blitz della Guardia di finanza di Palermo, scattato all’alba, ha fatto emergere gli interessi della criminalità organizzata di stampo mafioso sulle concessioni statali del gioco e delle scommesse. L’operazione, denominata ‘All in’, ha permesso l’esecuzione di 10 misure cautelari personali e il sequestro di imprese con volumi di gioco per 100 milioni di euro. Il gip del tribunale del capoluogo siciliano ha inoltre disposto il sequestro preventivo di 40 milioni di euro.
Cinque persone sono finite in carcere, tre ai domiciliari e per due è stata applicata la misura del divieto di dimora nel territorio del Comune di Palermo. Le accuse, a vario titolo, sono di partecipazione e concorso esterno in associazione di stampo mafioso, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, questi ultimi reati aggravati dalla finalità di aver favorito i clan palermitani. L’indagine ha svelato la “sistematica ricerca del potere economico da parte di Cosa Nostra”, spiegano gli investigatori, con particolare riferimento “all’acquisizione del controllo del lucroso settore economico della gestione dei giochi e delle scommesse sportive”. La “rilevante capacità economica sviluppata”, continua la Guardia di finanza, è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, a conferma della “concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19”.
L’operazione ‘All in’ della Guardia di finanza è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Le porte del carcere si sono aperte per Francesco Paolo Maniscalco, 57 anni, Salvatore Sorrentino, 55 anni, Salvatore Rubino, 59 anni, Vincenzo Fiore, 42 anni e Christian Tortora, 44 anni. Ai domiciliari sono finiti Giuseppe Rubino, 88 anni, Antonio Maniscalco, 26 anni e Girolamo Di Marzo, 61 anni. Nei confronti dei fratelli Elio e Maurizio Cailleri, rispettivamente di 62 e 65 anni, è stata invece applicata la misura del divieto di dimora nel territorio del Comune di Palermo. Con il medesimo provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del relativo complesso aziendale di 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse; 9 agenzie scommesse, ubicate a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro. Le attività economiche in esame sono state ritenute riconducibili al paradigma della cosiddetta ‘impresa mafiosa’, in quanto “strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a Cosa Nostra”, illustrano le fiamme gialle palermitane, “finanziate da risorse economiche provento del delitto associativo di stampo mafioso”. Il provvedimento è in corso di esecuzione da parte di 200 militari della Guardia di finanza, in forza ai reparti di Palermo, Milano, Roma, Napoli e Salerno, che stanno inoltre effettuando decine di perquisizioni in luoghi nella disponibilità degli indagati situati oltre che in Sicilia, anche in Campania, nel Lazio e in Lombardia.
Le complesse investigazioni condotte dagli specialisti antimafia del Gico del Nucleo di polizia economico – finanziaria di Palermo, seguite da un pool di sostituti coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore de Luca, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese, esami dei flussi finanziari, hanno consentito di delineare il grave quadro indiziario, confermato dalla valutazione del Giudice: in particolare, hanno consentito di: fornire una plastica dimostrazione della sistematica ricerca del potere economico da parte di Cosa Nostra, con particolare riferimento all’acquisizione del controllo del lucroso settore economico della gestione dei giochi e delle scommesse sportive; delineare l’esistenza di un gruppo di imprese gravitante, secondo l’accusa, intorno alle figure centrali di Francesco Paolo Maniscalco, già condannato per la sua organicità alla famiglia di Palermo Centro, e di Salvatore Rubino che avrebbe messo a disposizione dei clan la propria abilità imprenditoriale al fine di riciclare denaro di origine illecita e, al contempo, di esercitare un concreto potere di gestione e imposizione sulla rete di raccolta delle scommesse; ricostruire le metodologie attraverso cui l’organizzazione criminale è riuscita ad infiltrarsi nell’economia legale attraverso il controllo di imprese – la cui gestione operativa occulta sarebbe stata progressivamente demandata a Vincenzo Fiore e Christian Tortora – che detengono, anche a seguito della partecipazione a bandi pubblici, le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive, sviluppando nel tempo una strategia operativa di stampo aziendalistico protesa alla massimizzazione dei profitti.L’ambizioso ‘progetto aziendale’ mafioso ha beneficiato di finanziamenti provenienti sia dal mandamento di Porta Nuova, ad opera del cassiere pro tempore che ha investito, ottenendone profitto, liquidità destinate anche al sostentamento dei carcerati, sia dal mandamento di Pagliarelli attraverso l’acquisto di quote societarie operato presumibilmente dai fratelli Camilleri, imprenditori collusi vicini al reggente del momento, investimento poi liquidato a causa di dissidi interni, con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500mila euro.A testimonianza della significatività degli interessi in campo, nel corso delle indagini sono stati monitorati gli esiti di diversi summit mafiosi, cui hanno partecipato anche i massimi vertici del mandamento Pagliarelli, Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti relativi alla fase di liquidazione del citato investimento.A dimostrazione della trasversalità degli interessi economico – finanziari delle varie articolazioni di Cosa nostra palermitana, l’espansione sul territorio della rete di agenzie scommesse e di corner gestiti tramite le imprese sequestrate è stata garantita dall’ombrello protezionistico delle famiglie mafiose con le quali gli indagati si sono costantemente relazionati ottenendo reciproci vantaggi sia in termini affaristici che di rafforzamento della capacità di controllo economico – territoriale.In particolare, sono state documentate interazioni, oltre che con esponenti di Pagliarelli, con l’apertura di centri scommesse direttamente riconducibili al mafioso Salvatore Sorrentino, e di Porta Nuova per la sistematica restituzione – operata nel tempo., secondo gli investigatori, attraverso la figura di Giuseppe Rubino – dei profitti connessi agli investimenti nel tempo effettuati, parte dei quali destinati al sostentamento dei detenuti nonché al mantenimento di un ‘vitalizio’ per i familiari del boss assassinato Nicolò Ingarao, anche con referenti dei mandamenti: della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria del Gesù, di Belmonte Mezzagno, nel cui territorio, ottenuta la necessaria autorizzazione mafiosa, sono stati aperti ulteriori centri scommesse; di San Lorenzo, per l’affidamento di lavori di allestimento delle agenzie del gruppo mafioso indagato ad imprese riconducibili ai vertici di quella consorteria.
Negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla vicinanza ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero economico costituito da imprese – formalmente intestate a prestanomi compiacenti tra i quali, per l’accusa, Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo – che complessivamente nel tempo sono giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.La rilevante capacità economica sviluppata è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, a conferma della concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19.Infatti, il gruppo imprenditoriale indagato, in quest’ultimo periodo, ha acquistato, nel quartiere Malaspina, senza necessità di contrarre finanziamenti bancari: un immobile dichiarato a partire dallo scorso febbraio come ufficio amministrativo di una delle società del gruppo; il 15 maggio scorso un’ulteriore agenzia scommesse, entrambi oggetto del provvedimento di sequestro eseguito. L’odierna attività conferma il perdurante impegno della Guardia di finanza, sotto la direzione della locale Direzione distrettuale antimafia, per individuare i segnali di inquinamento dell’economia da parte delle consorterie criminali mafiose, contrastando ogni forma di possibile arricchimento connesso alla disponibilità e all’investimento di capitali di provenienza illecita e allo sfruttamento della contingenza emergenziale quale volano per l’infiltrazione della mafia nel tessuto produttivo nazionale.