Beni per oltre sei milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Trapani a un imprenditore di Castelvetrano, Nicolò Clemente, arrestato nel luglio 2018 per partecipazione in associazione mafiosa e sotto processo al Tribunale di Marsala.
Secondo gli inquirenti Clemente sarebbe vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro. L’uomo è implicato in varie indagini della Dia di Trapani, coordinate dalla Dda di Palermo, volte a disarticolare la rete dei consociati più “vicini” al latitante Matteo Messina Denaro, attraverso l’eliminazione dal mercato delle “imprese mafiose” che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento finanziario del boss ancora introvabile di Cosa nostra.
“Il suo arresto e il sequestro prendono le mosse dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia di Castelvetrano Lorenzo Cimarosa e da quelle di Giuseppe Grigoli, entrambi condannati in via definitiva come appartenenti alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, che lo indicavano come una delle più attive espressioni imprenditoriali della mafia locale, capace di infiltrare e condizionare il tessuto economico locale nei settori dell’edilizia pubblica e privata, nel commercio del conglomerato bituminoso, per assicurare a Cosa nostra significative risorse finanziarie”, dicono dalla Dia. Il nucleo familiare di Nicolò Clemente “è stato, da sempre, parte dello zoccolo duro della mafia a Castelvetrano. Il fratello Giuseppe, associato di primissimo rango e parte della cerchia più ristretta e fidata degli amici di Matteo Messina Denaro, è stato condannato per associazione mafiosa e per alcuni omicidi, commessi, in concorso, proprio con il latitante. Pericoloso killer di Cosa nostra trapanese, Giuseppe Clemente esercitava l’attività imprenditoriale insieme al fratello Nicolò. Dopo la condanna all’ergastolo, sempre Giuseppe, afflitto da crisi depressive, si è suicidato in carcere nel 2008, nel giorno del compleanno dell’amico Messina Denaro, scongiurando definitivamente il pericolo di poter cedere alla tentazione di collaborare con la giustizia, circostanza vissuta con grande timore dall’associazione mafiosa e dalla sua stessa famiglia”.
I fratelli Clemente, Giuseppe e Nicolò, sono figli di Domenico Clemente, cugino dello storico capo mafia Giuseppe Clemente, condannato per essere stato capo decina della famiglia mafiosa di Castelvetrano all’epoca in cui il clan e l’intero mandamento di Castelvetrano, erano diretti da Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo. Il legame storico tra queste due famiglie risulta anche di tipo imprenditoriale nella società Enologica Castelseggo, attività costituita negli anni Ottanta (oggi definitivamente confiscata), in quanto diretta espressione delle famiglie mafiose di Castelvetrano e strumento per riciclare il denaro di provenienza delittuosa. L’elenco dei soci era del tutto sovrapponibile a quello dei più importanti rappresentanti delle famiglie mafiose di Castelvetrano. Le indagini condotte hanno dimostrato come Nicolò Clemente, “forte del suo rapporto diretto e privilegiato con Matteo Messina Denaro, abbia nel tempo sistematicamente partecipato, attraverso le proprie aziende, alla spartizione delle commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo, che avveniva all’interno di un circuito mafioso-imprenditoriale del quale facevano parte, oltre a lui, gli imprenditori Giovanni Filardo, Giovanni Risalvato, lo stesso Lorenzo Cimarosa, tutti condannati definitivamente per associazione mafiosa. Nicolò Clemente è risultato, dunque, pienamente inserito nel contesto mafioso-imprenditoriale castelvetranese, attraverso una logica spartitoria ispirata dai vertici della famiglia mafiosa ed attuata mediante il sistematico ricorso alla violenza”.
Piera Toppi