Magistrati e avvocati contro Bonafede e la riforma sulla prescrizione

Gli avvocati della Camera penale di Milano hanno riservato un  ironico benvenuto a Piercamillo Davigo, un magistrato che non li ama ed ampiamente ricambiato.

Per l’occasione i legali sono usciti dall’aula all’inizio del saluto di Davigo, intervenuto in rappresentanza del Csm, e insieme hanno esibito manifesti con gli articoli della Costituzione sul diritto di difesa e la presunzione di non colpevolezza, proprio quelli che per l’ex pm che voleva ‘rivoltare l’Italia come un calzino’ non sono mai stati un ‘must’.

Il giorno prima i legali  avevano domandato al Csm di inviare a Milano, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, un magistrato più gradito. La protesta è stata comunque  civile, a coronamento di un periodo di lotte in cui tutta l’avvocatura italiana ha saputo dimostrare insospettate capacità mediatiche e di dialogo nel tentativo, finora vano, di bloccare la riforma Bonafede sulla prescrizione.

Il giustizialista italiano del mondo del giornalismo, Marco Travaglio,  ha trovato intollerabile l’offesa fatta a Davigo, dal momento che gli avvocati ‘non erano a casa loro’.

 Ma il giustizialista numero uno non risparmia nemmeno alcuni importanti magistrati, colpevoli di avere smentito, cifre alla mano, le sue stesse bufale, cioè quelle secondo cui ‘la prescrizione falcia 120.000 processi l’anno’.

A infastidire il direttore del Fatto è stato scoprire che la protesta sulla prescrizione ha trovato alleati insperati, visto che  hanno fornito il loro appoggio personalità importanti della Corte di Cassazione: il primo presidente Giovanni Mammone e il procuratore generale Giovanni Salvi.

Si sono aggiunti anche il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso, e il presidente della Corte d’Appello di Roma, Luciano Panzani, pronti a smentire,  con la forza dei numeri,  le analisi catastrofiste dei nemici della prescrizione.

Nel capoluogo lombardo, per capirsi, la percentuale di procedimenti estinti per prescrizione è, in totale, inferiore al 3%, di cui il 3,95% in fase di indagini preliminari. Un problema così modesto da essere inesistenti. A Roma, dove la situazione è ben più critica in Corte di Appello (oltre il 20% dei procedimenti complessivamente definiti in secondo grado si chiude con la dichiarazione di estinzione dei reati per decorso del tempo) la percentuale complessiva di prescrizioni sul totale dei processi è inferiore al 10 %. Si può parlare di emergenza?

I processi penali pendenti ‘in tutti i gradi’, al 30 giugno 2019 sono 1.493.000. E sono in calo: nel 2013 erano 1.663.000. Una diminuzione del 10%. In questo contesto, al morte ‘per vecchiaia’ di 120mila procedimenti è, insomma, fisiologica. Anzi, benefica: evita l’esplosione degli uffici giudiziari.

Perché il vero problema, come concordano già tutti, non è la prescrizione, ma l’irragionevole durata del processo. Chi si trova ad affrontare un itinerario giudiziario per reati di una certa rilevanza deve calcolare almeno un decennio e più di permanenza nelle aule. Uno stop definitivo della decorrenza allungherebbe i termini in modo intollerabile. E all’idea accarezzata dal ministro Alfonso Bonafede di imporre, con sanzioni disciplinari, tempi accelerati ai magistrati, l’Anm ha risposto picche. Ulteriore riprova che alla prescrizione dei reati non ci può essere alternativa, a meno di non considerare tale la scomparsa delle parti per cause naturali.

In sostanza, la cancellazione della prescrizione è un falso problema, un mito populista. E proprio per questo alimenta un grave pericolo. Come argomenta Giovanni Salvi, ‘la tentazione del ‘governo della paura’ ha riflessi anche sui pm’. Dal desiderio di ‘rassicurazione sociale’ a ‘proporsi come inquirente senza macchia e senza paura, il passo non è poi troppo lungo’.

La giustizia è una nota dolente del sistema Italia da decenni e sistematicamente i presidenti delle Corti più importanti lo denunciano con toni accorati e rimproveranti. Ma mai il j’ accuse è stato così violento e uniforme, quasi che intenzionalmente l’ indice di tutti i tribunali e le procure del Paese puntasse sul Guardasigilli e sul governo che lo sostiene.

Il procuratore di Milano, Roberto Alfonso, ha definito la riforma di Bonafede ‘irragionevole, incoerente e soprattutto anticostituzionale’. Quello di Torino, Francesco Saluzzo, ha detto che togliere la prescrizione al sistema processuale italiano equivale a togliere il medico a un malato. La presidente della Corte d’ Appello di Firenze, Margherita Cassano, ha aggiunto che l’ eliminazione del termine di decadenza ‘allunga inevitabilmente i tempi dei giudizi e non si concilia con l’ idea di giusto processo’.

Il giorno prima a Roma, il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Mammone, aveva pronosticato che ‘i provvedimenti del Guardasigilli anziché snellire il sistema, creeranno 25mila nuovi giudizi l’ anno’.

 Avvocato siculo trapiantato a Firenze, di non chiara fama ma di buone conoscenze, Bonafede dovrebbe tenere in considerazione l’ opinione di chi di diritto ne sa più di lui. Invece no, si fa forte del ruolo, sale in cattedra e replica: ‘Per me ho ragione io, la mia riforma non è anticostituzionale, mi spiace se mi danno del manettaro’.

A questo punto, visto che il Guardasigilli è sordo e non tira le somme della propria inadeguatezza, dovrebbero pensarci il premier Conte e il Pd e Italia Viva, soci del governo giallorosso, a mettere alla porta l’ inquilino di via Arenula. Il grido di dolore dei magistrati, degli avvocati e degli italiani è rivolto anche a loro. Il ministro è da scartare.

 

 

 

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