Una veduta di Palazzo Chigi dove è in corso un nuovo vertice di governo sul testo del decreto di Agosto, Roma 6 agosto 2020. MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA

Manovra in salita, doccia gelata per la maggioranza: 23 miliardi e niente soldi per il Ponte sullo Stretto di Salvini

Più che un vertice di maggioranza è stata una doccia fredda, gelata, collettiva. Così gelida da sembrare quasi un’imboscata: la legge di bilancio sarà “ancora più ristretta del previsto, una sessantina di articoli, e con un valore più basso: non più 25-27 miliardi ma intorno ai 23, forse meno”. Di più non si può. Quindi, cari colleghi, cari ministri, inutile chiedere o insistere, inutile presentare emendamenti, scordatevi gli assalti alla diligenza. Così è e così dovrà essere. Punto.

A Palazzo Chigi mercoledì sera la luci sono rimaste accese fino dopo mezzanotte. Le docce fredde in realtà sono state due. La prima poco dopo le 21. Dopo un’altra lunga giornata in collegamento con le cancellerie d’Europa e dell’Occidente per monitorare la situazione in Israele, la premier ha messo intorno al tavolo il ministro economico, i segretari dei partiti di maggioranza Matteo Salvini, Antonio Tajani (che sono anche vicepremier) e Maurizio Lupi (Noi Moderati) e ha iniziato a spiegare come sarà la legge di bilancio 2024 che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare lunedì prossimo.

Giorgetti ha spiegato come stanno le cose. Il resto del tempo se n’è andato con le corpose obiezioni degli alleati. Soprattutto di Salvini che si dovrà rassegnare a stare senza ponte sullo Stretto. Anche Tajani è rassegnato: le pensioni minime potranno salire al massimo fino a 615 euro anche se la platea sarà più larga di quella attuale.

Tempo di mangiare qualcosa al buffet – spartano ma sufficiente – e la doccia fredda si è ripetuta e questa volta allargata ai capigruppo di maggioranza: Molinari-Romeo per la Lega, Barelli-Ronzulli per Forza Italia, Foti e Malan per Fratelli d’Italia, Lupi per i centristi. A rafforzare la linea del governo anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani che avrà l’onere di tenere a bada le truppe parlamentari a cui il Parlamento quest’anno non darà alcuna dote (di solito come minimo 500 milioni) da far cascare sui rispettivi territori. Un’altra ora e mezzo. Lo stesso leitmotiv: “Dobbiamo fare presto e con poco. Non cercate consenso adesso, alle Europee ci penserete dopo”, il suggerimento di Giorgia Meloni.

Palazzo Chigi vuole fare presto, liberare il Parlamento “già alla fine di novembre, ai primi di dicembre” per essere poi pronti ad affrontare eventuali ulteriori emergenze. Soprattutto, visto che la sessione di bilancio è sempre un momento delicato, per non restare scoperti troppo a  lungo su quel fianco così sensibile. Annuncia che i ministeri “non avranno plafond e neppure ci devo provare a chiederlo. Conosciamo le esigenze di tutti e faremo quello che possiamo”. Il ministro Giorgetti è stato chiaro: “Dobbiamo limitare ulteriormente le misure perché in un quadro così fluido dove tutte le previsioni possono cambiare, dobbiamo fare cassa per sostenere famiglie e imprese nel caso dovesse arrivare un’altra crisi energetica”.

La riunione doveva servire a dare l’impostazione generale. Per i dettagli ci sono ancora due-tre giorni di lavoro. Si conferma il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori con redditi medio-bassi e l’accorpamento delle due aliquote più basse. Il tutto dovrebbe tradursi in cento euro nette in busta paga in più ogni mese. Il valore di questa operazione, rifatti bene i conti da parte della Ragioneria, ammonta a tredici miliardi e non più 15,7 che è il valore totale dello scostamento di bilancio. “Due miliardi e 700 milioni recuperati, molto bene”, afferma un deputato di Fratelli d’Italia addetto al dossier Manovra. Soldi che andranno alla Sanità. Non i quattro miliardi richiesti dal ministro Schillaci per far ripartire ospedali, pronto soccorsi e diagnostica però una buona somma. Confermati anche una serie di provvedimenti in favore della natalità e la genitorialità e l’avvio del rinnovo dei contratti pubblici. La manovra era stata stimata tra i 25 e il 27 miliardi. Ne andavano trovati almeno 10-12 oltre lo scostamento di bilancio.

“Faremo spending e privatizzazioni”, ha promesso Giorgetti. Qualche dettaglio in più: cinque, forse sei miliardi possono essere recuperati dai ministeri “dove esistono fondi finanziati con soldi fermi che non vengono usati”. I ministri dovranno liberarli. Per usarli in altro. Altri soldi dovrebbero arrivare dalla cessione di Mps e di alcune controllate di Ferrovie. Più difficile qui quantificare la cifra. Molti dubbi invece sulla cessione di Aspi, autostrade per l’Italia, sebbene ci sia già un acquirente. Se resta qualche soldo in cassa, va preservato in caso di oscillazioni del costo delle materie prime e di una ripresa dell’inflazione per avere soldi in cassa con cui intervenire.

“Abbiamo preso atto di una situazione che certo non abbiano creato noi e che imporne sacrifici. Siamo persone responsabili e quindi abbiamo perfettamente compreso l’eccezionalità del momento. Il governo avrà il nostro totale appoggio”, ha detto Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia. Parole perfettamente in linea con quelle di palazzo Chigi: “Clima di grande collaborazione e determinazione nella maggioranza in vista della legge di Bilancio, una manovra seria che concentrerà la sua attenzione su redditi e pensioni medio-basse, sulla famiglia e sulla sanità”.

Si narra di un Salvini silente polemico perché, per dirla con un paio di esponenti leghisti, “col cavolo che ci facciamo fregare dalla signora che quando noi eravamo al governo e lei all’opposizione ci ha fatto mangiare polvere e bile”. Ma qui non si tratta di fregare l’uno o l’altro. E neppure di diventare pompieri dopo che si è stati tutta la vita incendiari. La Lega spera almeno di riuscire ad evitare il maxi acconto fiscale di novembre. Sarebbe la prima volta in 50 anni.

Le opposizioni però incalzano. Nessuna di loro ha votato lo scostamento di bilancio. Italia viva chiede misure strutturali, poche ma buone, ad esempio sul taglio del cuneo fiscale. Il Pd l’11 novembre andrà in piazza per difendere la Sanità pubblica. “La luna di miele del governo Meloni con il Paese sta finendo. Da ieri sera è finita anche con la maggioranza”, dice Francesco Boccia, presidente dei senatori Pd. È chiaro, ad esempio, che il Ponte sullo stretto non sarà finanziato. E neppure la legge sull’autonomia differenziata. Salvini non è contento.

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