Mark Zuckerberg in crisi nera: è arrivato il momento del declino?

Sono passati 18 anni da quel lontano 2004 che segnò un momento di svolta nell’ambito delle relazioni sociali del mondo contemporaneo. La rivoluzione tecnologica che aveva avuto la propria genesi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta – anche se c’è chi si rifà al grande matematico inglese Alan Turing, che durante il nazismo creò la prima macchina crittografica per decifrare il codice Enigma, utilizzato dai tedeschi per le comunicazioni militari – stava portando milioni di persone in tutto il mondo a prendere confidenza con un nuovo arredo: il personal computer entrava nelle case americane ed europee come 50 anni prima era successo per il frigorifero e la lavatrice.

Uno strumento nuovo, di quelli che si vedevano nei film o nelle redazioni dei giornali: un apparecchio con cui pochi fortunati avevano già interagito e che passo dopo passo stava diventando accessibile a tutti. La grande novità che portava con sé – e di cui, ai tempi, non si percepiva la portata storica – stava nel fatto che, grazie a quel modem collegato alla rete telefonica e a quello schermo fissato sulla scrivania, mogli e mariti di ogni famiglia potessero interconnettersi con qualsiasi altra persona, fosse essa a pochi chilometri di distanza o dall’altra parte del pianeta.

Come spesso accade, aldilà degli scienziati esperti in materia, i primi a cogliere le potenzialità spaventose di tutto questo furono i più giovani. Soprattutto quelli che, attraversata la fase dell’adolescenza e intrapresa quella adulta, godevano delle prime conoscenze necessarie per maneggiare l’ambito, ma soprattutto della flessibilità mentale tipica di chi ha ancora tutta la vita davanti.

Tra questi, proprio in quel lontano 2004 ci fu uno studente dell’Università di Harvard, allora poco più che ventenne, che ebbe l’intuizione di lanciare una piattaforma web tramite cui i ragazzi iscritti al prestigioso college americano potessero scambiarsi informazioni, caricare materiale, condividere documenti e rendere pubblico qualcosa di personale “postandolo sulla propria pagina”. Il gergo tecnico iniziava a variare e così nasceva Facebook: da allora quel giovane di nome Mark Zuckerberg imboccò una spirale virtuosa che lo ha portato oggi, all’età di 38 anni, ad essere uno degli uomini più ricchi e influenti del mondo.

Il successo inizia nel 2007, quando Microsoft acquista l’1,6% delle azioni. Cinque anni dopo Facebook viene quotata in Borsa per un valore di 104 miliardi di dollari, una cifra mai raggiunta prima da una società così giovane. Nel frattempo un altro social network (questo il nome che inizia a circolare sulla bocca di tutti) viene lanciato da due ragazzi di Stanford e inizia a spopolare negli Stati Uniti: il suo nome è Instagram e ruota attorno alla condivisione di fotografie. Nel 2012 Zuckerberg la acquista per un miliardo di dollari e l’anno successivo introduce la possibilità di postare brevi video, a cui poco dopo fanno seguito le “storie” tanto in voga al giorno d’oggi.

Questo giovane ingegnere dalla mente geniale e il fiuto per gli affari non si accontenta e nel 2014 acquista anche WhatsApp, la piattaforma di messaggistica istantanea che ancora oggi viene scaricata e utilizzata quotidianamente da oltre 2 miliardi di utenti in tutto il mondo. L’investimento è di quelli sontuosi (19 miliardi di dollari), ma ormai il suo patrimonio viaggia su quella lunghezza d’onda e Zuckerberg non ha la benché minima intenzione di frenare le proprie ambizioni imprenditoriali.

L’ultima tappa di questo cammino inimmaginabile (si faccia avanti chi lo aveva anche solo ipotizzato in quel 2004) è di pochi mesi fa, precisamente ad ottobre, quando viene presentata Meta, la nuova versione della sua società che controlla tutti i prodotti acquisiti nel corso del tempo: il nome deriva dal greco antico e si richiama al concetto di metaverso, una realtà virtuale popolata da avatar che vivono e interagiscono proprio come gli esseri umani in carne ed ossa, pur non essendolo.

Oggi però sono in molti a sottolineare come, per la prima volta nella sua storia, la parabola di Mark Zuckerberg pare essere giunta ad un punto di declino. A testimoniarlo sono i numeri, che fotografano una situazione di difficoltà come mai prima d’ora: per il primo anno Meta ha fatto segnare una diminuzione dei ricavi di oltre l’1% (28,8 miliardi di quest’anno contro i 29,1 del 2021). Anche gli utili sono scesi di 3,4 miliardi (il 36%) rispetto al giugno dello scorso anno, fermandosi a quota 6,7 miliardi nel trimestre tra aprile e giugno contro i 10,4 miliardi di dodici mesi fa. E anche le azioni finanziarie – da sempre oggetto dei desideri dei grandi investitori internazionali – hanno perso circa il 40% del proprio valore.

In tutto questo Facebook viene visto sempre più come lo spazio riservato agli utenti meno giovani (categoria che oggi include tutte le persone over 40), mentre le giovani generazioni sembrano non poter resistere al fascino di TikTok, il social network di origine cinese che dal 2016 in poi sta mostrando un potenziale di crescita che ad oggi pare irrefrenabile: il rischio che Zuckerberg conosce bene è quello che la stessa Instagram venga ben presto soppiantata nel ruolo di piattaforma leader per la condivisione di foto e brevi filmati accompagnati da un sottofondo musicale.

“Il mondo sta cambiando e dovremo farlo anche noi” ha detto in questi giorni Adam Mosseri, il numero uno di Instagram, che con queste parole ha battezzato la fine dei social network per come sono stati concepiti. Nel frattempo Zuckerberg e la sua vice dimissionaria Sheryl Sandberg – che verrà presto sostituita da Susan Li – hanno attribuito le colpe ad una recessione economica che “avrà un ampio impatto sul business della pubblicità digitale”, ma loro stessi sanno meglio di chiunque altro che i prodotti Meta avranno bisogno di nuove funzionalità esclusive per risalire nel gradimento degli utenti di tutto il mondo: riuscirà il ragazzo venuto da Harvard a cavalcare l’ennesima rivoluzione?

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