Maurizio Martina da oggi sarà il sesto segretario del Pd. Anzi, dovrebbe esserlo: con i Dem è d’obbligo il condizionale visto che anche ieri, a 24 ore dall’Assemblea nazionale, è stato addirittura Martina a minacciare di ritirare la propria candidatura, costringendo quindi il Pd a celebrare subito il congresso. Ed è proprio sulla data del congresso che il braccio di ferro è proseguito la notte e durerà fino alle 10,30 quando comincerà l’Assemblea. Sullo sfondo anche la polemica interna sulla discontinuità del profilo del Pd rispetto a quello di Matteo Renzi, richiesta dalla sinistra interna e osteggiata dall’ala renziana. Mentre è stata nettamente smentita da Luca Lotti e dal portavoce Marco Agnoletto la suggestione di un imminente scissione di Renzi e dei renziani. Renzi, precisa Lotti, sarà presente all’assemblea del partita e dirà la sua prendendo la parola. Dato che le dimissioni di Matteo Renzi da segretario sono irreversibili, l’Assemblea nazionale ha – secondo lo Statuto del Pd – due possibilità: convocare un congresso subito o eleggere un segretario con la maggioranza assoluta degli aventi diritto, cioè 501 voti. Il primo scenario è inviso a tutte le correnti, concordi nella necessità di non precipitarsi ora in una corsa sui nomi, ma di avere una fase ‘costituente’, di ridefinizione del profilo politico del Pd. Martina giovedì ha proposto di tenere ad ottobre un Forum in cui confrontarsi anche con le realtà esterne al partito, politiche, sociali e civiche.
Una fetta del partito vuole ostacolare la strada a Nicola Zingaretti, l’unica presunta novità sul panorama democratico. Intanto la mediazione che sembra essere stata raggiunta è quella di rieleggere Martina e fare il congresso prima delle Europee 2019.
La vera battaglia sarà a questo punto il se e quando sarà convocato il congresso. Come scrive l’Ansa, lo vogliono prima delle europee di maggio 2019 la sinistra che appoggia Nicola Zingaretti nella sua preannunciata candidatura, ma anche AreaDem di Dario Franceschini e Piero Fassino. Non dispiacerebbe anche alla maggioranza dei renziani, come è emerso alla loro riunione di giovedì, ma il vero piano sarebbe quello di superare l’appuntamento elettorale e arrivare ad autunno 2019. Così da tenere saldo il controllo su liste e partito.
C’è da dire che l’unico movimento degno di nota in background è quello di Martina, che ha colto la palla al balzo della lettera di Pier Luigi Bersani a Repubblica per aprire un canale di dialogo, invitandolo a discutere di futuro della sinistra direttamente alla Festa nazionale dell’Unità. Un primo approccio, che segue gli avvicinamenti già messi in atto dall’ala più attiva della minoranza interna, in particolare quella che fa riferimento a Andrea Orlando. Soprattutto perché l’ex ministro dello Sviluppo economico da sempre ha scelto come leader Paolo Gentiloni, che a sua volta si è sfilato dalla contesa per cucirsi addosso un ruolo più da federatore, un po’ quello che fu Romano Prodi a metà degli anni Novanta. In questo valzer di proposte spicca il silenzio di Matteo Renzi, che ha scelto di parlare direttamente all’Ergife, davanti a tutti i delegati.
Quel che è certo, è che i democratici nemmeno sono usciti dalla loro emergenza che già devono affrontarne un’altra. Nelle scorse ore è stato arrestato Marcello Pittella, presidente Pd della Regione Basilicata, ai domiciliari nello sviluppo di un’inchiesta della Guardia di finanza sulla sanità locale. Gli esponenti Pd hanno fatto sapere di rispettare la magistratura e hanno inviato una nota di solidarietà con il governatore. Ma è solo l’inizio dell’ennesimo caso da cui in qualche modo il nuovo segretario dovrà tirarsi fuori.