MEDAGLIA D’ONORE A LUCIANO SALCE:
FU DEPORTATO NEI LAGER NAZISTI
Per anni è gli è stata attribuita l’adesione alla Repubblica di Salò. Luciano Salce non è mai stato un repubblichino. Una battaglia condotta dal figlio Emanuele per portare alla luce la verità che si conclude con una Medaglia D’Onore.
Sono state consegnate il 28 gennaio dal prefetto di Roma dott. Matteo Piantedosi, presso la sala “Di Liegro” di Palazzo Valentini, le Medaglie d’Onore ai cittadini italiani, militari e civili, che durante il secondo conflitto mondiale hanno subito la deportazione e l’internamento nei campi nazisti dal 1943 al 1945. Tra questi Luciano Salce il regista, attore e autore scomparso nel 1989 e protagonista di una delle epoche più feconde dello spettacolo italiano.
Un riconoscimento di grande valore che rappresenta l’ultimo tassello di una ricerca di verità che si è contrapposta all’informazione disinformata di alcuni settori dell’opinione pubblica che negli ultimi tempi, evitando accuratamente di confrontarsi con fonti e documentazioni evidentemente contrari, hanno diffuso la notizia falsa dell’adesione di Luciano Salce alla repubblica di Salò.
In questi anni Emanuele Salce ha ristabilito una verità storica e privata rivolgendosi al Ministero della Difesa, agli storici e ai ricercatori fino a ottenere documenti inconfutabili che dimostrassero fatti ben diversi da quelli raccontati: Luciano Salce non solo non fu mai un repubblichino ma fu anzi una vittima della persecuzione nazifascista. Classe 1922, il regista, scomparso nel 1989, fu fatto prigioniero dall’esercito tedesco dopo l’8 settembre, mentre prestava servizio militare a Modena. Dapprima internato in un campo di lavoro a Moosburg, riuscì a fuggire nel 1944 ma fu catturato al confine italo-austriaco ed imprigionato per quaranta giorni nel campo di concentramento di Dachau, insieme a detenuti comuni russi.
Tutto il materiale è consultabile sul sito lucianosalce.it alla pagina “prigionia”.
“La mia, prima ancora di essere una battaglia per la verità privata di mio padre, lo è stata per restituire una verità storica, senza alcuna connotazione politica, sia chiaro. Ed è stato un grande viaggio, al contempo, che mi ha dato occasione di immergermi in scoperte ed approfondimenti, la cui occasione probabilmente avrei continuato a rimandare e rimandare. Leggere le lettere scritte da mio padre dal campo di prigionia, resta una delle pagine più intense anche della mia stessa vita.”