Con l’approvazione in Commissione del disegno di legge delega che prevede l’abolizione del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina, si apre una nuova fase di discussione sull’organizzazione dell’accesso ai corsi universitari più ambiti. La proposta del Governo mira a eliminare l’attuale sistema di selezione basato su un test di ingresso, permettendo l’iscrizione libera al primo semestre per tutti gli studenti interessati. Tuttavia, al termine del primo semestre, sarà introdotto uno sbarramento che selezionerà gli studenti in base ai risultati ottenuti negli esami.
La riforma, però, non è esente da critiche. Se da un lato promette di garantire un accesso più ampio agli studi medici, dall’altro solleva dubbi sulla capacità delle università italiane di gestire l’aumento degli iscritti e di garantire la qualità della didattica.
Abbiamo parlato con il professor Stefano Marini, preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata, per approfondire le implicazioni di questa riforma.
Professor Marini, cosa ne pensa della riforma che elimina il numero chiuso e prevede uno sbarramento dopo il primo semestre?
“Sono piuttosto scettico su questo approccio. In Francia hanno già sperimentato un sistema simile e i risultati non sono stati positivi con molti degli attori coinvolti che invece spingono verso l’attuazione di un sistema all’italiana. Uno dei principali problemi riguarda il sovraffollamento: le università hanno già dovuto gestire un numero molto elevato di studenti (da circa 10000 matricole nel 2020 a più di 20000 nel 2024), e con questa riforma la maggior parte degli Atenei si troverebbe ad affrontare importanti criticità poiché già ora le aule ed i docenti disponibili faticano ad accogliere il numero attuale di studenti. Aggiungere altre matricole senza un piano strutturale adeguato potrebbe rendere la situazione ingestibile.”
Quali potrebbero essere le difficoltà per i professori?
“I docenti sarebbero sotto un’enorme pressione. L’aumento degli studenti comporterebbe un carico maggiore sia in termini di lezioni che di valutazioni. Inoltre, il sistema di valutazione diventerebbe particolarmente stressante, perché un singolo voto potrebbe fare la differenza tra chi prosegue e chi no. Un altro aspetto critico è che il programma di insegnamento, specialmente in materie fondamentali, varia a seconda delle diverse macroaree e (per esempio noi insegniamo Chimica medica che è molto diversa dalla chimica insegnata in un corso di laurea in Biologia o Chimica). Questa eterogeneità potrebbe creare problemi nella definizione dei criteri di sbarramento.”
Quali soluzioni ritiene necessarie per affrontare queste problematiche?
“Prima di tutto, sarebbe essenziale aumentare le risorse per le università. Questo significa non solo più aule e laboratori, ma anche più personale docente e tecnico per garantire che tutti gli studenti abbiano l’attenzione necessaria. In secondo luogo, il sistema di valutazione deve essere studiato con molta attenzione per evitare di creare ingiustizie o sovraccaricare i docenti. Infine, sarebbe importante confrontarsi con esperienze simili all’estero per imparare dai loro errori e successi.”
Le preoccupazioni espresse dal professor Marini sono emblematiche di un più ampio dibattito che coinvolge molte università italiane. Da una parte, c’è il rischio che una liberalizzazione dell’accesso senza un adeguato incremento delle risorse possa portare a un sovraccarico insostenibile per il sistema universitario; dall’altra, la qualità della formazione rischia di essere compromessa senza un’adeguata attenzione alle risorse necessarie.
La riforma potrebbe rappresentare un’opportunità per rinnovare il sistema universitario e formare più medici per il futuro, ma solo se accompagnata da un’attenta pianificazione e da investimenti adeguati. Per ora, rimangono molte incertezze sulle modalità di attuazione e sugli strumenti che saranno messi a disposizione degli Atenei per affrontare questa sfida. Il futuro della formazione medica in Italia dipenderà dalla capacità di bilanciare l’ampliamento dell’accesso agli studi con la necessità di mantenere standard elevati nella didattica e nella valutazione.